Cap.1:
Gli esordi e le caratteristiche del progetto
Nel 1966 entra in vigore la nuova regolamentazione tecnica, che
innalza il peso minimo delle monoposto a 500 chili e porta la cilindrata
massima a 3000 cc, per i motori aspirati, o 1500 cc per quelli sovralimentati.
In questo modo la Federazione Internazionale dell'auto intende rivitalizzare
una categoria che sta attraversando un momento di relativo appannamento.
Il varo dei nuovi regolamenti, avversato dai team inglesi, che non
dispongono di validi propulsori, viene invece accolto favorevolmente
dalla Ferrari.
Sembra confezionato su misura per il team di Maranello e per esaltare
il ruolo del motore nello sviluppo di una vettura da Gran Premio.
La nuova monoposto del Cavallino, identificata dalla sigla 312,
dove il numero "3" indica la cilindrata complessiva di
3 litri e "12" quello dei cilindri, viene presentata alla
stampa nell'inverno del 1965. Il cuore delle nuove rosse, deriva
dal V 12 di 60° e 3300 cc montato sul prototipo 275 P2.
Per rientrare nei limiti imposti dalla Federazione l'alesaggio di
77 mm rimane invariato, mentre la corsa scende dagli originali 58,8
mm a 53,5 mm. La prima versione del plurifrazionato eroga 325 CV,
che nel corso della stagione saliranno fino a 360 CV a 10.000 giri/min.
Il cambio, longitudinale, è a cinque marce, accoppiato ad
un differenziale autobloccante ZF. Altra caratteristica del nuovo
12 cilindri Ferrari, gli scarichi bianchi, che avvolgono il retrotreno
e la dislocazione dei cornetti di aspirazione al centro della "V".
Poche novità, invece, sul fronte aerodinamico e strutturale.
La silhouette della 312 ripropone, in scala maggiorata, la classica
conformazione a sigaro. Il corpo vettura è più schiacciato,
rispetto alla 158 - 512, la presa d'aria del radiatore acqua ha
forma ellittica, ed i fianchi leggermente arrotondati.
Per migliorare lo scorrimento dell'aria lungo le fiancate, gli ammortizzatori
anteriori sono entrobordo. Sull'asse posteriore troviamo invece
i soliti triangoli sovrapposti, con gruppo molla-ammortizzatore
inclinato. La struttura portante della 312 è costituita da
un traliccio tubolare, rivestito da pannelli di alluminio, ed assemblato
secondo una tecnica aeronautica. Come consuetudine, il debutto agonistico
del nuovo modello, affidato all'inglese John Surtees, avviene nel
Gran Premio di Siracusa.
La vittoria non sfugge al pilota britannico e la Ferrari dimostra
di essere molto competitiva, anche se la gara non è valida
per il mondiale. Questo, infatti, inizia a Montecarlo, dove Surtees
sfiora il bis. Sulle strette stradine del principato la Ferrari
numero 17 è nuovamente protagonista, ma costretta al ritiro
da un guasto al differenziale, quando si trovava al comando della
corsa con un buon margine di vantaggio sugli inseguitori. Sempre
a Montecarlo la Ferrari schiera una seconda vettura per Lorenzo
Bandini, denominata 246. Si tratta di un ibrido, realizzato mettendo
insieme un 6 cilindri a V "Dino" di 65° e 2417 cc
(derivato dal propulsore del 1958) ed un telaio del biennio 1964/65.
Con questa macchina, leggera e maneggevole, Bandini conquista la
piazza d'onore, dopo avere fatto segnare il giro più veloce
in gara. La vittoria non sfugge però alla Ferrari in Belgio.
Sul circuito di Spa-Francorchamps, inondato d'acqua, Surtees precede
l'austriaco Rindt, al volante di una Cooper-Maserati e la Ferrari
246 del compagno di squadra Bandini.
Cap. 2: La stagione 1966
Molti interpretano questo successo come un trampolino di lancio
per la conquista del titolo mondiale '66. A Maranello non sono però
dello stesso avviso, ed alla vigilia della 24 ore di Le Mans, a
sorpresa, arriva l'annuncio del divorzio con John Surtees. Le ragioni
di questa inattesa separazione non sono mai state chiarite. Di certo
sulla decisione di appiedare il pilota inglese debbono avere pesato
i continui dissidi col direttore sportivo Dragoni e, probabilmente,
la consapevolezza che Surtees stava per intraprendere la carriera
di costruttore. Al suo posto la Ferrari ingaggia Mike Parkes, eccellente
pilota sulle vetture sport, ma a digiuno di esperienza in Formula
1. L'inglese si piazza comunque al secondo posto nella gara d’esordio,
in Francia, dopo che Lorenzo Bandini aveva ottenuto la pole–position
e dominato la prima metà di gara. Decisamente peggio va in
Inghilterra: le Ferrari non possono partecipare alla corsa di Silverstone,
perché bloccate a Maranello da una serie di scioperi, proclamati
dai metalmeccanici.
Per ritrovare una rossa protagonista nel mondiale bisogna attendere
il Gran Premio d'Italia, dove la Ferrari introduce sostanziali migliorie
al propulsore. La distribuzione passa da due a tre valvole (due
per l'aspirazione, uno per lo scarico) e la potenza sale a 380 CV,
sempre a 10.000 giri/min. Novità anche sul fronte pneumatici.
A partire dalla gara monzese la Ferrari lascia la Dunlop per la
Firescone, dopo avere provato anche le GoodYear in Olanda. Ed i
risultati gli danno ragione. La Ferrari domina la gara e coglie
una significativa doppietta, con Scarfiotti e Parkes. La seconda
ed ultima vittoria stagionale per una monoposto che, con un briciolo
di fortuna in più ed una gestione più oculata, avrebbe
potuto tranquillamente puntare al titolo mondiale. Questo, invece,
finisce nelle mani di Jack Brabham e della sua Brabham, motorizzata
Repco. La monoposto del pilota australiano è meno raffinata
della Ferrari, ma estremamente leggera e maneggevole, spinta da
un 8 cilindri australiano, abbastanza rudimentale, realizzato mettendo
insieme un monoblocco Oldsmobile e bielle Daimler.
Cap. 3: La stagione 1967
Consci del potenziale tecnico della loro vettura i progettisti di
Maranello prolungano la vita agonistica della 312 nel 1967, apportando
numerose modifiche al modello base, senza però stravolgerlo.
L'impegno più gravoso riguarda la drastica riduzione di peso
cui viene sottoposta la 312. Lavorando su telaio e sospensioni e
introducendo una carrozzeria in fibra di vetro, il peso della Ferrari
'67 scende dagli iniziali 600 chili, ad un valore più che
accettabile di 530 chili. Contemporaneamente la potenza del V 12
sale a 390 CV, l'aspirazione torna laterale e gli scarichi centrali,
e si assiste ad un progressivo allargamento della carreggiata.
A dispetto di queste modifiche e dell'arrivo in squadra del promettente
neozelandese Chris Amon, le prestazioni della 312 non migliorano.
A Montecarlo si tocca, anzi, uno dei momenti più neri nella
storia del Cavallino. All 81°giro la Ferrari di Lorenzo Bandini,
che si trovava in seconda posizione alle spalle di Hulme, urta contro
le protezioni e le balle di paglia situate all'esterno della chicane.
Si capovolge e prende fuoco. Il pilota viene estratto dopo molto
tempo dalla sua monoposto rovente e ricoverato in fin di vita in
ospedale. Dove si spegnerà dopo tre giorni di agonia. Come
se non bastasse, in Belgio Mike Parkes rimane vittima di un brutto
incidente, che mette fine alla sua breve carriera di pilota di F1.
Così, a partire dal Gran Premio di Francia, la Ferrari si
ritrova, a gareggiare col solo Chris Amon, che non va oltre qualche
sporadico terzo posto (Monaco, Belgio, Inghilterra e Germania).
Il tasso di competitivita della 312 non migliora neppure a Monza,
dove la Ferrari fa esordire una nuova versione del 12 cilindri,
con 48 valvole (quattro per cilindro) e la potenza aumentata a 410
CV a 10.600 giri/ min.
Cap. 4: La stagione 1968
Lo stesso motore equipaggia la versione '68 della 312. La terza
della serie, la quale si distingue dalle precedenti per una maggiore
profilatura del musetto e del corpo vettura, nonché per il
diverso disegno della carenatura abitacolo, integrata nel telaio.
Rafforzata anche la squadra. Al fianco del riconfermato Chris Amon,
ci sono il belga Jacky Ickx e l'italiano Andrea De Adamich, che
sarà però costretto ad abbandonare quasi subito il
team, in seguito ad un grave incidente nella Corsa dei Campioni.
Fin dalle prime uscite stagionali la versione '68 della 312 si rivela
tanto competitiva, quanto sfortunata. Parte in prima fila in quasi
tutte le gare ed in Spagna, Belgio, Olanda e Germania ottiene addirittura
la pole position. Ma taglia raramente il traguardo. La sfortuna,
sembra accanirsi, in particolar modo, contro Chris Amon, il pilota
più iellato nella storia della Formula 1 non riesce a vincere
un solo Gran Premio, pur avendone dominati molti. L'unica affermazione
del 1968 porta la firma del belga Ickx, autore di una impresa memorabile
sul circuito di Rouen, in Francia.
Ickx trae vantaggio dalle particolari condizioni atmosferiche che
caratterizzano il Gran Premio di Francia (pioggia battente) e dall'uso
di speciali gomme "scolpite". Più che per la vittoria
di Ickx nel Gran Premio di Francia, il 1968 passerà comunque
alla storia per l'esordio dei primi alettoni in F1. Queste appendici
aerodinamiche vengono collaudate sulle Ferrari di Ickx ed Amon in
occasione del Gran Belgio del 1968, e a partire dal successivo Gran
Premio di Francia, diventano un elemento stabile della 312, subito
copiato dalla concorrenza britannica.
La Ferrari, però, si spinge oltre, e a Monza presenta un
iposostentatore posteriore, ancora più evoluto, sul quale
l' incidenza può essere variata in corsa, dal pilota, tramite
un dispositivo idropneumatico.
Cap. 5: Dalla stagione 1969 alla 312B
Il ritorno alla vittoria e le recenti scoperte in campo aerodinamico
galvanizzano la Ferrari che si prepara con grande impegno al mondiale
1969. La 312 subisce la quarta trasformazione della sua lunga carriera
agonistica, con aggiornamenti di carattere aero-dinamico e motoristico.
La potenza del V 12 sale a 436 CV a 11.000 giri/min (un autentico
record per l'epoca) ed i condotti di aspirazione tornano al centro
della "V", mentre quelli di scarico vengono spostati all'esterno.
Cambia anche la forma del musetto, più basso e largo del
precedente e la conformazione degli alettoni. Sull'asse anteriore
fanno la loro comparsa due ampi spoiler di pianta trapezoidale,
mentre sul retrotreno anche la Ferrari adotta un'ala a tutta larghezza,
montata in posizione molto elevata. I risultati, però, non
arrivano - Amon, rimasto solo in squadra, dopo il passaggio di Ickx
alla Brabham, non va oltre un modesto terzo posto nel Gran Premio
di Olanda. Gli altri due piazzamenti in zona punti della Ferrari
nel mondiale 1969 (un sesto posto in Italia ed un quinto negli USA),
portano la firma di Pedro Rodriguez, al quale viene affidata una
monoposto del 1968 a partire dal Gran Premio di Inghilterra. Quella
del pilota messicano è anche l'unica Ferrari schierata in
pista da Maranello nel finale di stagione. Alla vigilia del Gran
Premio di Italia si consuma infatti il divorzio con Amon. Il pilota
neozelandese è deluso dalla scarsa compretitività
delle rosse e dall'impossibilità di debuttare a Monza con
la nuova 312 B. |