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CAPITOLO 1

Una scommessa vinta in partenza.

Monza, sinonimo di velocità e passione; una pista unica che è stata teatro di imprese epiche e leggendarie. La storia del circuito comincia nel lontano 1922 quando, dopo il primo Gran Premio d’Italia disputato a Brescia, si rese necessaria la realizzazione di un circuito permanente per favorire un migliore sviluppo della nascente industria automobilistica italiana. L’autodromo venne realizzato nel tempo record di tre mesi e la prima gara registrò un’afflusso di oltre 100.000 spettatori.

La conformazione della pista dell’epoca non era molto diversa da quella che oggi conosciamo anche se ovviamente non esistevano varianti e chicanes; alla pista stradale era affiancata una pista ad alta velocità per una lunghezza complessiva del tracciato di 10 Km. La pista consentiva medie elevatissime per l’epoca e si dimostrò subito molto selettiva per auto e piloti.

CAPITOLO 2

Le prime imprese di piloti eroici.

Per questo già negli anni ’30 cominciarono a nascere i primi problemi sulla sicurezza che portarono gli organizzatori delle gare a realizzare notevoli modifiche del tracciato. In particolare, dopo l’incidente di Emilio Materassi del 1928 che costò la vita a 29 spettatori ed allo stesso pilota, vennero disputate delle corse su circuiti “alternativi”.

Per esempio, alcune manifestazioni si svolsero sul solo anello ad alta velocità, mentre altre utilizzarono il cosiddetto “Circuito Florio”, composto dalla curva sopraelevata sud e da una parte del circuito stradale, costellato di chicanes quasi improvvisate. Erano comunque anni in cui le misure di sicurezza per piloti e spettatori erano pressochè inesistenti: correre era un rischio assoluto.

Ma erano anche tempi di grandi imprese, di piloti eroici come Nuvolari, Caracciola, Varzi, Campari, Ascari, di corse vere ed appassionanti. L’atmosfera era assolutamente unica, si respirava l’aria dei primi veri pionieri dell’automobilismo sportivo, si era a contatto con le persone che stavano costruendo la storia, quella vera.

Tutto continuò così sino allo scoppio della seconda guerra mondiale; durante il conflitto il circuito venne praticamente distrutto in quanto diventò un deposito per armi e munizioni nonché zona di transito e parcheggio per moltissimi mezzi militari.

CAPITOLO 3

Il teatro di epiche sfide.

Nel 1945, appena finita la guerra, l’autodromo era completamente inagibile e le prime gare della “nuova era” vennero disputate su altre circuiti come quello della “Fiera di Milano” o di Livorno. Ma a Monza si era già al lavoro per ricostruire l’autodromo; nel 1948 venne inaugurato il nuovo circuito, lungo 6300 metri, composto essenzialmente di un tracciato stradale.

Su questa pista si corsero tutte le più importanti gare dell’immediato dopoguerra e le prime edizioni del mondiale di Formula 1; epiche le sfide tra Juan Manuel Fangio, Stirling Moss ed il nostro Alberto Ascari. Ma i grandi cambiamenti per la più antica pista italiana arrivarono nel 1955 quando il tracciato stradale venne radicalmente modificato con la realizzazione di un nuovo anello ad alta velocità a curve sopraelevate.

La pista riacquistò così la forma originale del 1922 anche se la sopraelevazione dell’ovale diventò decisamente molto più elevata; sul tracciato completo si corsero i Gran Premi 1955, 1956, 1960 e 1961 e due edizioni del “Trofeo dei due mondi” (1957 e 1958). In realtà, anche nel 1962 le prime prove del Gran Premio d’Italia di Formula 1 vennero disputate sul circuito completo anche se poi la corsa si svolse sul solo tracciato stradale.

Pare che le autorità locali vietarono all’autodromo l’utilizzo della pista ad alta velocità per una mancanza della rete di protezione per gli spettatori in alcuni punti del circuito, notizia – questa – comunque non certa.

CAPITOLO 4

Il dramma di Von Trips.

E’ comunque da escludere l’ipotesi che l’abbandono della pista ovale sia dovuto all’incidente che nel 1961 causò la morte di Von Trips e 14 spettatori. Quell’incidente fu causato, involontariamente, da Jim Clark che tamponò la Ferrari del pilota tedesco la quale finì prima contro il terrapieno e poi tra il pubblico assiepato vicino alle reti della curva Parabolica.

La pista ad alta velocità fu ingiustamente additata come causa dell’incidente per anni; in realtà Clark non aveva nessun problema alla vettura causato dall’ovale monzese, ma semplicemente la necessità di tenere la scia delle auto più veloci per non perdere terreno. La guida al limite lo portò a commettere un banale errore di valutazione che, purtroppo, causò una delle più grandi tragedie dell’automobilismo moderno.

Anche se abbandonato dalle leggere Formula 1 da 1500cc, il circuito completo di 10 Km dell’autodromo di Monza venne comunque utilizzato per moltissime altre gare, dalle vetture turismo agli sport prototipi. Dal 1965 al 1969 una delle gare più attese dagli appassionati fu la 1000 Km di Monza, una manifestazione capace di attirare in autodromo ben 150.000 spettatori nella seconda metà degli anni ’60.

Le sfide tra la Ferrari, la Porsche e la Chaparral infiammarono l’animo degli appassionati per molti anni. Quelle sfide ad alta velocità su un circuito unico come quello monzese diventarono ben presto leggenda.

CAPITOLO 5

Arrivano le varianti.

Purtroppo l’evoluzione tecnica delle vetture e delle gomme fecero diventare inutilizzabile la sopraelevata che dal 1973 cadde praticamente in disuso. Al tempo stesso cominciarono a farsi largo anche le richieste di maggior sicurezza negli autodromi e Monza fu una delle piste maggiormente nel mirino; molti piloti cominciarono ad aver paura a correre perennemente in scia ad una media di oltre 240 Kmh e pertanto chiesero insistentemente agli organizzatori monzesi la realizzazione di alcune varianti che spezzassero il ritmo della gare.

Così, in occasione del Gran Premio d’Italia del 1972, fecero la loro prima comparsa due varianti, una sul rettifilo di partenza ed una che tagliava fuori la velocissima curva del Vialone. Fu la fine delle epiche battaglie ad alta velocità che erano una caratteristica della pista monzese; le leggendarie corse in scia avevano tenuto sino a tutto il 1971 gli spettatori con il fiato sospeso sino alla bandiera a scacchi.

Da ricordare in particolare sono le edizioni 1969 e 1971 del Gran Premio d’Italia e l’edizione 1970 del Gran Premio Lotteria di Formula 2; arrivi al fotofinish con moltissime vetture in pochi decimi, dopo giri con sorpassi e sfide al limite per tutta la durata della corsa. Dal 1972 sino al 1976 si arrivò alla trasformazione del circuito con l’introduzione definitiva di tre varianti: Goodyear, Roggia ed Ascari.

CAPITOLO 6

L'ultimo tempio della velocità.

Da allora ad oggi poco è cambiato se non la conformazione delle due curve di Lesmo e della curva Grande. Nel 2000 è stata modificata anche la prima variante, ora molto più secca, ma la forma del circuito è più o meno sempre la stessa.

Monza rimane oggi, nel calendario del mondiale di Formula 1, l’ultimo vero circuito veloce; dopo il “taglio” di Hockenheim e la scomparsa della “vecchia” Spa, il circuito brianzolo resta insieme a Montecarlo uno dei due appuntamenti classici del mondiale e l’unico tempio della velocità.

Monza è un circuito che certamente non offre i servizi di un moderno autodromo come quello di Sepang, ma è comunque pervaso da un fascino unico ed inimitabile, indelebilmente segnato da una storia che solo pochissime altre piste possono vantare.

Come diceva un appassionato giornalista inglese, all’interno dell’autodromo, nelle uggiose giornate d’inverno, si possono ancora sentire i rumori della Mercedes di Fangio, il rombo dell’Alfa di Nuvolari, il sibilo della Ferrari di Villeneuve, avvertire ancora la loro presenza tra gli alberi e la foschia. E molto probabilmente quel giornalista aveva ragione.

La monografia soprastante è stata scritta in esclusiva per FormulaZero e non può essere copiata, duplicata, replicata o modificata senza il previo consenso dell'autore.
Emilio Boldi
Per FormulaZero

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