Cap.1:
Un autoditatta all'avanguardia
Nella formula uno di oggi, ipertecnologica, stramiliardaria, nonché
vetrina esclusiva di grandi gruppi automobilistici internazionali,
non c’è più spazio per appassionati intraprendenti e artigiani ardimentosi;
semplici romantici e geniali innovatori; preparatori e garagisti,
come erano chiamati i team manager inglesi da Enzo Ferrari.
Tra i team minori, qualcuno cerca ancora di resistere, ma Minardi
ha dovuto vendere ad un imprenditore del settore aeronautico e trovare
sponsor malesi per continuare a correre, mentre altri come Jordan
hanno seri problemi di budget. Evoluzione o involuzione? Dipende
dai gusti. Molti preferivano la F.1 dei garagisti: quella dei sorpassi
mozzafiato, delle vere curve di Lesmo, dei grandi campioni, di vetture
tecnicamente diverse e con motori differenti, delle gomme slick,
dei paddock più accessibili. Quella più a misura d’uomo, dove la
fantasia, la goliardia, l’inventiva e i rapporti con gli altri,
avevano ancora la loro importanza. Cos’è rimasto oggi di tutto ciò?
Nulla.
L’omologazione regna sovrana, a partire da motori tutti uguali,
con la medesima architettura a dieci cilindri, per arrivare ad una
pletora di piloti mediocri, spacciati per fenomeni, che sfilano
in fila indiana su tanti kartodromi. E allora? Allora spazio all’
“amarcord”. Vale la pena guardare indietro nel tempo, agli anni
settanta e ottanta, anche se per molti – soprattutto per i più giovani
- ciò significa andare alla preistoria. Vale la pena raccontare
la storia di un costruttore unico nel suo genere, che ha realizzato
il sogno di una vita, costruirsi una vettura di F.1 nella propria
officina.
Un progettista atipico, non un ingegnere ma un semplice appassionato
autodidatta, eppure per alcuni aspetti all’avanguardia. Per esempio
nell’uso di nuovi materiali di derivazione aeronautica. Ancor oggi,
quando guardiamo i disegni originali della sua F.1, non possiamo
far altro che rimanere meravigliati tanto sono accurati.
Cap. 2: L'inizio dell'avventura
Il nome del nostro personaggio è “Dydo” Monguzzi, all’anagrafe Pietro
Monguzzi, mentre il nome delle sue monoposto è DYWA. Monguzzi nasce
a Milano sessant’anni fa, ma li porta bene e quindi non li dichiara
mai. DYWA è un nome di fantasia, nato dalle sue iniziali e da quelle
del fratello di sua moglie, Walter, che poi ha preferito occuparsi
d’altro.
Dydo inizia fin da ragazzo a frequentare il circuito di Monza e
a darsi da fare come meccanico. Dopodiché si specializza nel trasporto
di vetture da competizione destinate a mostre e saloni e arriva
a lavorare per la Marlboro, trasportando Mclaren, Alfa Romeo e Ferrari,
in giro per il mondo da un’esibizione all’altra. A furia di portare
in giro auto da corsa degli altri, a Monguzzi viene voglia di farsene
una propria e si cimenta con una F.Monza, categoria da sempre fucina
di talenti e di idee. Successivamente nel 1969 realizza una F.2.
Compie un ulteriore salto di qualità nel ’72 quando inizia la costruzione
di una F.5000 con motore Chevrolet, che aggiorna nel 1974. L’anno
successivo dopo una serie di test e il reperimento di alcuni sponsor
la vettura debutta a Zolder e poi corre ancora a Brands Hatch.
I telai realizzati sono due e anche la loro veste aerodinamica subisce
varie evoluzioni; entrambi gli chassis ora si trovano nel circuito
di Cellule (CE) e sono da restaurare. Dopo alcuni anni di sosta,
nel 1979 Monguzzi si rimette al tavolo da disegno e corona il proprio
sogno, dando vita alla DYWA F.1 0010 dotata di motore Cosworth.
I primi test vengono effettuati con lo stesso Dydo al volante, nel
piccolo aeroporto di Schiranna (Varese). Dopo alcuni contatti con
il Campione Europeo di F.2 Maurizio Flammini, la vettura debutta
in pista a Monza nel giugno 1980, nel G.P. Lotteria abbinato alla
gara del Campionato Internazionale di F.Aurora, con alla guida Piercarlo
Ghinzani.
Quell’anno Monza subisce “lo scippo” del G.P. di F.1 da parte di
Imola e in sostituzione ospita per la prima e ultima volta una prova
della serie britannica riservata a monoposto F.1 di “seconda mano”,
vendute dai team ufficiali a squadre private. Per la cronaca, si
contendono il titolo il cileno Eliseo Salazar e lo spagnolo Emilio
de Villota, entrambi sulle Williams FW07 del Ram Racing. Alla fine
la spunterà il secondo, ma non avrà fortuna, perchè non riuscirà
a trovare un posto fisso in F.1, cosa che invece avverrà – anche
se in squadre minori - per Salazar. Tra gli iscritti in F.Aurora
c’è anche Giacomo Agostini, con una Williams FW06 Marlboro, ma l’ex-iridato
delle due ruote ottiene solo qualche piazzamento.
Cap. 3: Soluzioni che sorprendono
Tornando alla DYWA, la monoposto di Monguzzi è completamente bianca
e si caratterizza per la linea particolare, simile nel muso a quella
di un Concorde, senza “baffi” laterali. Anche l’alettone posteriore
ha una forma inconsueta, con le paratie laterali che si congiungono
alla carrozzeria e riprendono la linea delle pance, che contengono
i radiatori, dotate di minigonne per l’effetto suolo.
Questa soluzione era stata usata anche da Willy Kauhsen per la sua
WK01, portata in pista da Gianfranco Brancatelli e Patrick Neve
nel ‘79. Nei primi test Monguzzi aveva comunque usato un’ala posteriore
tradizionale rettangolare che non si congiungeva alle fiancate;
anche il profilo di queste ultime e del cofano motore erano leggermente
diversi. Il telaio è in tubi Avional 24 integrato da centine, con
il motore portante. Il serbatoio dell’olio è costituito da una campana
che funge da distanziale tra cambio e motore. Le sospensioni in
acciaio aeronautico trattato, anteriormente sono a schema pull-rod
con tirante, mentre dietro sono a bilanciere. Diversi particolari
minori sono in ergal. La scatola dello sterzo è inedita e i materiali
subiscono lo stesso trattamento chimico già utilizzato dalla NASA
per alcuni particolari montati su navicelle spaziali.
L’avventura di Monguzzi sorprende molti team manager di varie categorie,
titolari di squadre dotate di mezzi tecnici ed economici maggiori,
alle quali non sembra vero che un piccolo “artigiano” possa arrivare
a tanto. Quella di Monguzzi è un’avventura che crea qualche invidia
e per mancanza di fondi purtroppo è destinata a non avere seguito
nella massima formula. Infatti senza aiuti economici Dydo non può
continuare a sviluppare la sua “creatura”, né iscriverla
ad altre gare. Le sponsorizzazioni promesse non si concretizzano
e quindi dopo l’apparizione di Monza la vettura rimane ferma in
officina a Canegrate.
Cap. 4: Una nuova vita
La svolta arriva nel 1983, quando la Federazione Internazionale
si prepara a varare i nuovi regolamenti tecnici della F.1 che entreranno
in vigore nell’85. La cilindrata dei motori deve aumentare a 3.500
cc. e ci si appresta a creare la F.3000 (con i vecchi Cosworth ex-F1.)
in sostituzione della F.2. In virtù di questi cambiamenti, la DYWA
0010 con alcune modifiche può tornare attuale.
Monguzzi prenota in esclusiva il circuito di Monza per far percorrere
i primi metri (oggi si direbbe shakedown!) alla sua F.3000. Il pilota
prescelto è Peo Consonni, al quale subentrerà in una prova successiva
Guido Daccò. La meccanica e il telaio rimangono i medesimi ma Monguzzi
ridisegna tutta la parte aerodinamica. Il muso ora non è più acuminato,
la vettura viene dotata di fondo piatto e vengono realizzati tre
tipi di fiancate. Nel primo disegno sono piccole a forma triangolare.
Nel secondo invece sono più lunghe e terminano con la classica forma
rastremata cosiddetta a “coca cola” (per via di una similitudine
con il profilo delle bottigliette). Con questa configurazione compare
anche il cofano motore.
L’ultima versione è un’evoluzione della seconda: viene eliminata
la parte finale rastremata e le pance sono rettangolari. La DYWA
F.3000 effettua altri test e mostra riscontri incoraggianti, tanto
da suscitare l’interesse di Fulvio Maria Ballabio, che prova la
monoposto. Il pilota milanese, con trascorsi in F.3 e F.2, ha spostato
i propri interessi nel Principato di Monaco e creato la Monaco Racing
Service, e ora si accinge a dare vita con alcuni soci ad una scuderia
monegasca: l’Ecurie Monaco.
L’obiettivo è quello di debuttare in F.3000 con una nuova monoposto,
ma anzichè realizzare una vettura completamente da zero si sceglie
di ribattezzare la DYWA con il nome di Montecarlo GP 001 e di continuarne
lo sviluppo. L’aerodinamica viene completamente rifatta, e prevede
pance del tipo a “coca cola” con la carrozzeria del muso e del retrotreno
realizzata in un pezzo unico. Con una nuova livrea rossa e bianca,
i colori della bandiera monegasca, la Montecarlo GP 001 viene presentata
alla stampa alla presenza del Principe Alberto per poi scendere
in pista a Le Luc con Ballabio e Richard Dallest, destinato a pilotare
la GP 001 solo nel finale di stagione (è infatti sotto contratto
con la AGS, che ha consentito il test sulla propria pista privata
di Le Luc).
Successivamente la vettura viene ancora modificata nella colorazione
e debutta a Imola. Purtroppo a causa di alcuni problemi al cambio
la vettura non si qualifica e di fatto si conclude qui la sua carriera:
l’Ecurie Monaco decide di proseguire la stagione con una March.
Prima di lasciare la scena, la Montecarlo GP 001 viene esposta staticamente
a Monza in settembre in occasione del GP di F.1, mentre oggi dovrebbe
trovarsi a Monaco nella collezione del Principe oppure appartenere
ad un collezionista residente in Costa Azzurra.
Cap. 5: Il futuro di Monguzzi
Si conclude così la coraggiosa ma sfortunata esperienza di Dydo
Monguzzi come costruttore di F.1 e F.3000. La passione, l’inventiva,
la volontà ci sono state; purtroppo sono mancati i capitali necessari
per garantire un programma pluriennale di aggiornamento e sviluppo
della vettura, ed allestire un team all’altezza del compito. Ad
ogni modo ne è valsa ue la pena: Monguzzi è giustamente orgoglioso
delle sue monoposto e si è ugualmente tolto delle soddisfazioni.
Cosa resta di quell’esperienza? La voglia di percorrere strade nuove.
Dopo aver sospeso l’attività di costruttore per diverse stagioni,
e do, sono una nuova F.Junior e una F.Challenge. Per la prima sono
arrivate alcune richieste anche dalla Spagna. Mentre l’ultimo modello
utilizza lo stesso telaio della F.Junior ma ha un motore Yamaha
1.000 al posto del Fiat Fire. Inoltre l’auto è dotata di fiancate
laterali e alettoni. Anche le gomme sono differenti, Avon di F.3,
mentre l’impianto frenante sarà potenziato. Questa vettura è stata
espressamente richiesta dal pilota Sergio Ciceri, che ha anche voluto
la classica livrea verde scuro dei team inglesi “storici”, Brabham
e Lotus. Sono state effettuate sessioni di prova molto positive
a Lombardore e la volontà è quella di realizzare un piccola serie
di esemplari.
Senza dubbio non mancherà l’interesse per questa monoposto addestrativa
molto competitiva. Inoltre non pago di seguire le proprie “creature”,
Monguzzi per conto di un cliente ha completamente restaurato alcune
March-Alfa Romeo di F.Indy, che ora sono perfettamente funzionanti
e disponibili per esposizioni e prove in pista. Anche a distanza
di trent’anni, Monguzzi non resta mai con le mani in mano e non
rinuncia a rincorrere i propri sogni. Certo, oggi non è più possibile
costruirsi una F.1 nella propria officina, ma rimane la possibilità
di stupire in altre categorie. Chissà cos’ha già in mente il buon
Dydo per i prossimi mesi! |