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CAPITOLO 1

Il brutto anatroccolo.

Questa è la storia di un brutto anatroccolo che diventa un cigno. La storia di un uomo, prima ancora che di una squadra, che con tenacità passò dallo stato di barzelletta del paddock a uomo da battere. Questa è la storia di Frank Williams e della straordinaria Williams Ford FW07.

La Williams Ford FW07 fu la vettura che diede vita ad un sogno e, alla fine, quella che permise a Frank Williams di realizzarlo. Due anni dopo aver perso il controllo del team che lui stesso aveva creato, la FW07 progettata da Patrick Head permise a Williams di conquistare un successo nel 1979 e portarlo alla ribalta dopo nove anni passati nell’ombra, durante i quali si era ridotto ad effettuare telefonate di lavoro da una cabina telefonica pubblica, dal momento che non riusciva a pagare più la bolletta. Un anno più tardi, con quella stessa monoposto, Alan Jones si laureò campione del mondo.

Tornando indietro a quei giorni, quando Frank e Patrick stavano iniziando ad inserirsi nella ristretta élite dei team vincenti della Formula 1, il team inglese poteva contare su un giovane quanto brillante ingegnere aerodinamico che rispondeva al nome di Ross Brawn. Dal suo genio nacque la FW07.

CAPITOLO 2

Da piatto a suolo.

“A quel tempo ero impegnato nello sviluppo della monoposto in galleria del vento. Avevamo la FW06 a fondo piatto ed avevamo la FW07 che racchiudeva tutte le conoscenze della Williams relativamente ad una vettura ad effetto suolo. La portammo a Londra, all’Imperial College, e la provammo nella galleria del vento.

Tutti gli indicatori sembravano inceppati, bloccati. Noi li colpivamo con le dita, tanto per cercare di sbloccarli, quando capimmo che, in realtà, i valori che stava facendo segnare la monoposto non rientravano in quelli misurabili dagli strumenti. Fu incredibile constatare quale passo avanti facemmo passando dalla vettura a fondo piatto a quella ad effetto suolo.

Noi eravamo pur sempre una piccola squadra e, in tutta onestà, non penso che gli altri prestassero troppa attenzione allo studio dell’aerodinamica e dell’effetto suolo. Ogni volta che portavamo la monoposto in galleria del vento, miglioravamo del 10% l’efficienza aerodinamica. Oggi non siamo in grado di migliorare del 10% quel parametro neppure lavorando per un anno in galleria del vento, con 50 persone. Durante quei giorni, ogni sessione in galleria era sbalorditiva”.

CAPITOLO 3

Una galleria del vento come casa.

Durante il 1977 la Lotus 78, la prima monoposto di sempre ad effetto suolo, impose nuovi metri di paragone per quanto riguarda aderenza e maneggevolezza della vettura, tuttavia soffrì sempre in termini di velocità massima. Colin Chapman cercò dunque di correggere questo difetto e con la Lotus 79, con la quale disputò il mondiale di Formula 1 del 1978, Mario Andretti riuscì a conquistare il titolo di Campione del Mondo. Ma dal 1979, i difetti di questa fantastica vettura vennero resi ancor più visibili dagli avversari, in particolare dalla Williams.

Lunedì e martedì provavamo in galleria del vento, mentre da giovedì a domenica eravamo impegnati alle gare” ricorda Brawn. “Durante quegli anni incredibili, questa rappresentava la nostra settimana tipo. La galleria del vento, tuttavia, era molto costosa e noi non potevamo contare su un budget illimitato, così studiavamo nuove soluzioni in galleria per circa una settimana al mese.

Certo, non era molto, ma era pur sempre meglio di niente! Il segreto della FW07, in ogni caso, sta nell’essere riusciti a mettere assieme una buona aerodinamica su una buona meccanica, perché quella disegnata da Head era veramente una buona vettura. Studiammo a fondo i carichi sopportabili dalla vettura e Patrick disegnò una monoposto capace di sostenerli. Penso che gli altri non avessero realmente capito questo”.

CAPITOLO 4

Il confronto con la Lotus 79.

Andretti era dello stesso avviso. Andava dicendo da molto tempo a Chapman che il telaio della 79 non era in grado di reggere i carichi derivanti dall’effetto suolo. “Discutevamo spesso con Colin su questo. Lui stava trovando sempre maggiore effetto suolo dalla vettura ma al contempo non faceva nulla per aumentare la rigidità del telaio. Per essere in grado di avvantaggiarsi di tutto il carico aerodinamico generato dalle vetture con l’effetto suolo, bisogna utilizzare delle molle molto rigide, ma per riuscire a guidare una monoposto con delle molle rigide, devi avere una buona vettura rigida”.

Nigel Bennett, ingegnere della Lotus, era d’accordo con Andretti ma Chapman non accettava consigli, neanche quando questi si rivelavano giusti. “La Lotus aveva un indubbio vantaggio aerodinamico, ma quando qualcuno utilizza quei concetti su una vettura meglio preparata ad accoglierli finisce per creare una monoposto vincente”.

La Williams FW07 era una vettura realmente affascinante, funzionale secondo i concetti cari al suo progettista Head, ma pur sempre dalle forme gradevoli. La sua prima apparizione ai Gran Premi risale al 1979, sul circuito di Long Beach dove si disputava la quarta prova del Campionato del Mondo, sebbene la monoposto non fosse ancora realmente pronta a gareggiare.

Ricorda Brawn: “La portammo al Gran Premio solamente per dimostrare agli sponsor che i loro investimenti erano concreti. Frank voleva rassicurare soprattutto lo sponsor arabo. Purtroppo la vettura non era ancora a punto per competere ed il debutto fu molto sofferto. La FW07 accusò problemi di pescaggio d’olio”. Frank Williams ricorda così la FW07: “La FW06 era un piccolo gioiello. Una monoposto stupenda con delle grandi innovazioni. Tuttavia, la FW07 rappresentava un enorme passo in avanti grazie all’introduzione dell’effetto suolo. E’ stata vincente e meravigliosa da vedere.

La livrea bianca e verde era stata voluta dallo sponsor arabo che ci aveva aiutato durante i nostri primi anni in Formula 1. E che dire del rumore, splendido, che facevano i tubi di aspirazione? Assomigliava molto a quello delle Mercedes di oggi. Ho supplicato i miei ingegneri di mettere gli scarichi alti come quelli sulle nostre monoposto odierne!”

CAPITOLO 5

La svolta.

Alan Jones ed il suo compagno di squadra, Clay Regazzoni, si qualificarono solamente al tredicesimo e quattordicesimo posto durante le qualifiche sul circuito di Jarama. L’australiano, in aggiunta, accusò continui problemi di misfire (accensione irregolare). Durante la gara, Regazzoni battagliò per il sesto posto prima di essere costretto al ritiro per la rottura del motore, mentre Jones, nonostante due soste ai box causate da altrettante forature, riuscì a segnare il secondo giro più veloce della corsa prima di fermare la sua Williams in seguito a problemi con il cambio Hewland FGB.

In occasione del Gran Premio del Belgio, Jones si trovò in testa alla corsa e condusse il gruppo per 16 giri prima di ritirarsi per un problema elettrico, mentre a Montecarlo Regazzoni seguì come un’ombra il vincitore, Jody Scheckter, fino alla bandiera a scacchi dopo che Jones aveva concluso la sua furiosa rimonta fino al terzo posto contro un guard-rail del toboga monegasco. L’australiano, invece, fu il primo dei piloti gommati Goodyear durante il Gran Premio di Digione che concluse al quarto posto. La competitività della FW07 stava, insomma, aumentando gara dopo gara.

La dimostrazione di quanto alto fosse il potenziale di quella monoposto, tuttavia, giunse durante i test che si svolsero a Silverstone, in previsione del Gran Premio di Inghilterra, quando l’ultima nata della Casa di Groove giocò a carte scoperte. “Avevamo passato in galleria del vento la settimana precedente. Aggiungemmo una una carenatura dove prima le piccole ali inferiori rientravano sotto la vettura ed erano tagliate in modo da essere più vicine possibile al motore. Questo provocò un grosso incremento di efficienza. Ne preparammo due: Jones lo ebbe appena in tempo per la qualifica, Regazzoni per la gara”.

CAPITOLO 6

Un sorriso che parlava da solo.

Un tempo significativo, in una sessione di test a Silverstone, si aggirava attorno all’1’14”3 – ricorda Frank Williams – mentre Jones riusciva a girare agevolmente in 1’13”8. Apportammo alcune modifiche all’aerodinamica e scese sotto il muro del 1’13”. Nella pit-lane scese il silenzio più assoluto e gli avversari rimasero attoniti. Da quel momento, il brutto anatroccolo si trasformò in cigno… Insomma, da team da deridere eravamo diventati il team da battere”.

Eravamo già stati competitivi a Zolder – dice Head – ma un problema elettrico ci costrinse al ritiro. A Monaco avremmo potuto vincere ma Jones colpì una barriera e danneggiò un braccetto dello sterzo, mentre Regazzoni si qualificò troppo indietro e perse del tempo prezioso. Alla fine concluse secondo, incollato agli scarichi di Scheckter che, su Ferrari, vinse il Gran Premio. Anche in Francia non andammo poi così male, quindi arrivò la sessione di test a Silverstone.

Creammo una carenatura dove prima le piccole ali inferiori rientravano sotto la vettura ed erano tagliate in modo di essere più vicine possibile al motore. Non avevamo ancora collaudato questa modifica in galleria del vento ma ero convinto che avevamo un’area di possibile perdita nella zona sotto l’ala, così nel pomeriggio precedente il test andai da uno dei nostri fornitori, un certo Bernie Jones che ci costruiva le monoscocche in alluminio, chiedendogli di preparare in fretta alcuni pannelli di forma particolare che andavano attaccati alle ali inferiori per arrivare fino ai lati del motore.

Andammo a Silverstone per i test ed i piloti giravano tranquillamente sul piede dell’1’13” occupando la terza e quarta posizione. A metà del primo pomeriggio pensai che era giunto il momento di montare quei pannelli per vedere come avrebbe reagito la vettura. Jones uscì con le stesse gomme del run precedente e fece segnare un 1’12”6, completò un altro giro e rientrò ai box con un sorriso stampato in faccia che parlava da solo”.

Nella giornata di venerdì, durante qualifiche per la gara inglese, Jones uscì di pista durante i primissimi minuti della sessione, danneggiando l’ala posteriore. Dopo gli interventi dei tecnici, il pilota australiano fermò i cronometri sul tempo di 1’11”88. Uno di quei riscontri cronometrici capaci di mandare in tilt tutti gli avversari in pit-lane. Conquistò la pole con oltre un secondo di vantaggio sul secondo e da quel momento la FW07 divenne una grande monoposto.

CAPITOLO 7

La prima vittoria.

Appena due anni prima, nel 1977, Patrick Neve su una March del team Williams, si era qualificato in ventiseiesima ed ultima posizione. L’uscita dal tunnel era oramai raggiunta.
In gara, Jones prese subito il largo staccando Jean Pierre Jabouille che con la sua Renault Turbo aveva conquistato la prima fila. Al diciassettesimo giro Regazzoni conquistò la seconda posizione, alle spalle del suo compagno di squadra. Per Williams, la realizzazione di un sogno era vicina. Purtroppo però Jones fu costretto a ritirarsi per la rottura di un tubo dell’acqua. Il successo, tuttavia, non sfuggì a Regazzoni che conquistò così la prima vittoria per la squadra e l’ultima della sua splendida carriera.

Pregavo Dio che la gara finisse presto perché non volevo che la vittoria scivolasse via, un’altra volta. C’era tantissima attesa attorno ai nostri box e nella pit-lane in generale. C’erano anche i responsabili del nostro sponsor dell’Arabia Saudita, alla loro prima apparizione ad un Gran Premio… Alla fine tutti furono felici e per me fu come vivere in viaggio di nozze”.

In quei giorni però, lo spazio tra una gara e l’altra era molto limitato e non c’era tempo per fermarsi ad assaporare meglio le gioie di un trionfo come quello della Williams a Silverstone. Bisognava già concentrarsi per l’appuntamento successivo.

Tuttavia, per qualcuno il giorno della prima vittoria della FW07 fu doppiamente speciale: Ross Brawn, infatti, festeggiò anche la nascita di sua figlia Helen. “La gara si svolgeva il sabato però, dopo essere stato presente in pista giovedì e venerdì, telefonai a Williams venerdì notte dicendogli che mia moglie si apprestava a partorire e che, pertanto, non sarei andato al circuito il giorno successivo. Dopo un lungo parto, Helen vide la luce sabato pomeriggio. Io corsi a casa di mia suocera per annunciarle che era diventata nonna e lei mi disse che la nostra macchina aveva vinto la corsa. Così, la sera stessa, ci trovammo assieme alla squadra in un pub vicino a Didcot, chiamato “The Boot” e festeggiammo entrambi gli avvenimenti”.

CAPITOLO 8

Un potenziale straordinario.

Nei Gran Premi seguenti, la Williams sfruttò tutto il suo enorme potenziale risultando imprendibile per tutti: Jones vinse quattro delle cinque gare successive, tre delle quali consecutive in Germania, Austria ed Olanda. Regazzoni conquistò invece il terzo posto alle spalle delle due Ferrari di Scheckter e Villeneuve in occasione del Gran Premio di Monza: un risultato, questo ultimo, che contribuì ancor di più a consolidare il suo quinto posto nella classifica del mondiale.

Jones salì nuovamente sul gradino più alto del podio in occasione della gara in Canada, a Montreal prima di vedere sfumare un probabile successo a Watkins Glen a causa della perdita di una gomma dopo una sosta ai box.

Quella di Montreal, tuttavia, fu una vittoria emblematica del valore della FW07. La Williams di Jones, gommata Goodyear, aveva nella Ferrari di Villeneuve, gommata Michelin, la sua rivale più accanita. La 312T del canadese poteva contare su un vantaggio di pneumatici, dal momento che quelli francesi erano più performanti degli americani, mentre la Williams, oltre ad una maggiore efficienza globale, era superiore alla monoposto di Maranello anche per quanto riguarda l’impianto frenante.

Il nostro ingegnere Frank Dernie fece un ottimo lavoro con Jones e gli suggerì di non forzare nei primi 15 – 20 giri quando la vettura era ancora carica di carburante, così Alan seguì Villeneuve senza mai perdere più di 12 secondi. La guida dell’australiano era estremamente conservativa nei confronti della vettura. Quando fu il momento, Jones incrementò in maniera decisa il ritmo e si riportò dietro a Gilles. Lo seguì per circa 15 giri e quindi lo superò all’interno del tornante Hairpin. Da quel momento l’australiano guidò la sua FW07 al limite perché era consapevole che se si fosse distratto anche solo per un istante, Villeneuve lo avrebbe ripassato”.

Jones concluse la stagione ad 11 punti dal campione del mondo, Jody Scheckter e la Williams al secondo posto tra i costruttori.

CAPITOLO 9

Entra in scena la B.

Per la stagione 1980 Head aggiornò la FW07 con nuove specifiche aerodinamiche, nuove sospensioni ed una monoscocca ancora più rigida; nuova anche la denominazione: FW07B. Inizialmente la monoposto non soddisfò i tecnici ed i piloti, tanto che dopo le prime due gare in Argentina e Brasile, si decise di riconvertire la vettura alla FW07 fintanto che una versione evoluta della FW07B non fosse stata pronta. Le prime tre FW07B vennero vendute al team di John Macdonald che vinse la serie Aurora F1 britannica grazie a Emilio de Villota ed Eliseo Salazar.

Con la vettura giusta a sua disposizione per una stagione intera, Alan Jones fu pressoché imbattibile. Vinse in Argentina, Francia, Inghilterra, Canada e Stati Uniti battagliando spesso con le Ligier Ford oppure contro le Renault Turbo. Con la gara di Montreal, la lotta per il titolo era un discorso a due tra Jones e Nelson Piquet il quale, a bordo di una Brabham Ford, aveva conquistato tre vittorie e numerosi piazzamenti.

Il brasiliano conquistò la pole position ma Jones lo affiancò subito, partendo anch’egli dalla prima fila. Il contatto fu inevitabile. Per la ripartenza Piquet fu costretto ad utilizzare il muletto. Il pilota della Brabham questa volta riuscì a mantenere la prima posizione fino al ventitreesimo giro quando la rottura del motore lo costrinse ad abbandonare la corsa. Jones, invece, conquistò il successo e, con esso, il titolo mondiale.

CAPITOLO 10

I titoli mondiali.

L’australiano si ripeté anche nel Gran Premio seguente, a Watkins Glen. In quell’occasione, Jones fece scivolare eccessivamente la sua Williams sul marmo della prima curva e ruppe una minigonna. Dalla dodicesima posizione in cui transitò alla fine del primo giro, Jones fu in grado di rimontare fino alla seconda posizione, alle spalle di Bruno Giacomelli che, a bordo di una Alfa Romeo, stava conducendo la corsa. Il pilota della Williams probabilmente non sarebbe mai riuscito a superare l’italiano ma sulla monoposto della Casa di Arese qualcosa smise di funzionare, spianando la strada al successo di Jones.

La stagione trionfale della Williams si completava anche con il terzo posto nella classifica piloti di Carlos Reutemann (il quale aveva vinto a Montecarlo) e con il successo nella classifica costruttori: 105 punti contro i 60 della Ligier ed i 55 della Brabham.

Nell’annata seguente proprio l’argentino avrebbe potuto iscrivere il suo nome nell’albo d’oro dei campioni del mondo, sempre alla guida della FW07B.
Le vetture erano state modificate per renderle conformi ai nuovi regolamenti ma avevano mantenuto inalterato il loro potenziale. Jones e Reutemann iniziarono però una feroce battaglia, iniziata dopo che l’argentino non rispettò gli ordini di scuderia che gli imponevano di far vincere Jones in occasione del Gran Premio del Brasile. Dopo quell’occasione, Reutemann si dimostrò molto costante, mentre Jones iniziò un lungo cammino a braccetto con la sfortuna.

CAPITOLO 11

Il ritiro di Jones, un altro titolo costruttori.

Vinto il Gran Premio di inizio stagione in Argentina e concluso al secondo posto quello in Brasile, Jones conquistò “solamente” tre secondi posti, un terzo e due quarti prima dell’ultima gara da disputare nell’immenso parcheggio del Caesar’s Palace di Las Vegas. Reutemann, al contrario, vinse in Belgio, conducendo la classifica piloti da metà stagione in avanti. Il titolo si poteva già considerare suo, invece accade l’impensabile.

Per l’ultima gara di Las Vegas, Reutemann conquistò una straordinaria pole position già durante la prima sessione di qualifica. Il suo riscontro cronometrico, 1’17”821, risultava oltre mezzo secondo più veloce rispetto a quello del suo compagno di scuderia Jones, relegato in decima posizione. Questo tempo lo poneva nella migliore delle condizioni anche nei confronti dell’altro pilota ancora in lizza per il mondiale: Nelson Piquet, incapace di fare meglio del quarto posto in griglia.

In gara, Jones stupì tutti conquistando una grande vittoria, sebbene maggior scalpore fece la notizia del suo ritiro. Reutemann, invece, si sciolse come neve sotto il sole a causa della pressione che la conquista del titolo comportava. Sarebbe stato sufficiente per lui tagliare il traguardo davanti a Piquet, il quale da metà gara in poi fu costretto a girare molto lentamente. Ma a Reutemann non riuscì neppure questo e concluse la corsa all’ottavo posto.

Nelson Piquet, quinto sotto la bandiera a scacchi, si laureò così Campione del Mondo nel 1981 con un solo punto di vantaggio sul pilota argentino, anche se la Williams confermò la sua supremazia tra i costruttori con 95 punti contro i 61 della Brabham.

CAPITOLO 12

L'arrivo di Keke e l'ultimo mondiale.

Con il ritiro di Jones, la FW07 venne affidata a Keke Rosberg che, alla fine della stagione 1982, si sarebbe laureato Campione del Mondo. Concluse al quinto posto il Gran Premio del Sud Africa, a Kyalami, mentre tagliò il traguardo al secondo posto a Rio, sebbene in seguito venne squalificato a causa di una polemica derivante dall’uso di una zavorra “particolare” (acqua); la sua presenza sul podio riprese a Long Beach, dove giunse secondo.

Prima di quella gara, Reutemann si ritirò nonostante il secondo posto in Sud Africa ed il ritiro in Brasile. La decisione dell’argentino costrinse Frank Williams a ripiegare su Mario Andretti, ingaggiato proprio per correre il Gran Premio degli Stati Uniti.

Fu il canto del cigno per la FW07, una monoposto capace di conquistare, in tre anni, tre titoli mondiali e quindici vittorie.

La monografia soprastante è stata scritta in esclusiva per FormulaZero e non può essere copiata, duplicata, replicata o modificata senza il previo consenso dell'autore.
Luca Giraldi
Per FormulaZero

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