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CAPITOLO 1

I motori nel sangue.

Questa è la storia di un uomo capace di non arrendersi e di continuare a sognare. Sempre. Questa è la storia di Bruce McLaren. Nel raccontarla, non affronteremo nel dettaglio la sua pur brillante carriera da pilota professionista, in grado di conquistare quattro vittorie in Formula 1 tra il 1959 e il 1970, bensì quella da costruttore.

Bruce nasce ad Auckland, in Nuova Zelanda, il 30 agosto del 1937. Da subito, i motori entrano a far parte della sua vita dal momento che i genitori sono i proprietari di una stazione di servizio e di un’officina dove il piccolo Bruce passa molto tempo osservando le magie compiute dal padre Les nel riparare le vetture che a lui vengono affidate. La velocità lo attrae anche se in forme diverse. Quella che bisogna sviluppare all’interno di un campo da rugby, vuoi per rincorrere un avversario o per cercare di marcare una meta, ad esempio lo affascina. Tuttavia, è ben presto costretto a fare i conti con le prove che la vita gli mette davanti, con una sfida che è durissima per un bambino che, ora, ha nove anni.

La sfida ha un nome ed un cognome: malattia di Legg-Calvé-Perthes. Difficile anche solo pensare di poter tornare a camminare, dal momento che questa patologia degenerativa della testa del femore è molto logorante per il paziente. Il paziente, però, è diverso dagli altri. Tre anni durissimi, passati in trazione e con terapie più adeguate agli adulti che ai bambini, spesi camminando grazie al supporto di stampelle anziché correndo dietro ad un pallone da rugby o dietro una vettura che ripartiva dal garage di Les.

CAPITOLO 2

La scintilla.

Il giorno in cui Bruce saluta le grucce, gli effetti della malattia quasi non si notano anche perché nel frattempo aveva studiato un modo per mascherare, con una camminata molto particolare, la leggera zoppia derivata anche dall’avere la gamba sinistra più corta di quella destra. Così, mentre il padre riparava vetture, Bruce “riparava” sé stesso e, soprattutto, assorbiva dal genitore la passione per la meccanica finché non rimase folgorato da una Austin 7 Ulster che il padre stava restaurando.

All’improvviso, Bruce vuole tornare a correre, correre veloce fino a tagliare il traguardo dei 15 anni, quelli necessari per ottenere la patente. E Bruce corre. Certo, non riesce ad aggirare gli ostacoli burocratici però a 14 anni è già in grado di guidare. Ancora una volta, la sua volontà gli permette di superare le difficoltà.

Dal conseguimento della patente alla prima gara in salita, proprio al volante di quella Austin 7 preparata dal padre, il passo è breve.

CAPITOLO 3

Una curiosità senza pari.

Prende parte a quella corsa all’insaputa del genitore che lo immagina a scorrazzare lungo le strade del circondario. Invece Bruce torna a casa con la coppa del vincitore sul sedile del passeggero. Due anni dopo, partecipa alla sua prima gara in circuito, fino a prendere parte nel 1957 al campionato neozelandese di F2 al volante di una Cooper-Climax. La carriera da pilota di McLaren era iniziata. Pilota si, ma diverso da tutti gli altri.

Bruce, infatti, è così innamorato della meccanica che si dedica allo studio dell’ingegneria e si ritrova lui stesso a modificare la sua vettura con l’obiettivo di migliorarne le prestazioni. Lo fa in maniera sorprendente e tremendamente efficace tanto che chiude quel campionato al secondo posto, nonostante gli altri piloti portino con sé meccanici ben più esperti di lui. Non c’era aspetto, particolare, rivetto di quella vettura che non conoscesse come le sue tasche. Questo anche grazie al fatto che, dopo l’acquisto della monoposto nel 1956 dal connazionale Jack Brabham, aveva con lui intrapreso un fitto scambio epistolare con oggetto la monoposto.

Non deve pertanto sorprendere che lo stesso Brabham seguisse con interesse la carriera del giovane Bruce e, in occasione del Gran Premio di Nuova Zelanda del 1957 – gara non titolata – decide di mettergli a disposizione una sua vettura. Bruce si mette in luce e viene selezionato per il programma “A Driver for Europe” con cui avrebbe avuto modo di iniziare il suo percorso in Formula 1. Ma questa è un’altra storia.

CAPITOLO 4

Nasce la Bruce McLaren Motor Racing.

Negli anni in cui si cimenta al volante delle monoposto di Formula 1, Bruce si concentra maggiormente sul pilotaggio ma ciò nonostante, è sempre in grado di confrontarsi con gli ingegneri suggerendo o collaudando nuove soluzioni. McLaren ha ben chiaro quello che è il suo futuro, tanto che il 2 settembre 1963, nonostante gareggi con la Cooper, fonda la Bruce McLaren Motor Racing Ltd.

Al suo fianco, in questa nuova elettrizzante avventura, due giovani americani, Timmy ed Edward (detto Teddy) Mayer. Il primo indossa la tuta da pilota, il secondo si cala nei panni di direttore sportivo.

L’esordio della scuderia è subito vincente ma, al tempo stesso, drammatico: vince infatti la Coppa Tasmania con due Cooper motorizzate Climax 2700 ma deve superare la morte di Timmy durante l’ultima gara della stagione. E’ un momento estremamente difficile per la neonata compagine, tuttavia Edward decide di rimanere al fianco di McLaren reclutando il capomeccanico inglese Tyler Alexander e l’entusiasmo del neozelandese torna a contagiare tutti. Così, nonostante la sua carriera in Formula 1 continui sotto i colori Cooper, McLaren riprende a lavorare sulla costruzione di vetture da corsa. Le sue.

Acquista una Zerex Special, un telaio ex Cooper F1 trasformato in biposto, e la sottopone allo stesso trattamento riservato alla Austin 7, smontandola pezzo per pezzo e ricostruendola applicando concetti e soluzioni che la rendono, tra le mani dello stesso McLaren, imbattibile nella gara di Mosport valida per la serie Can Am e molto competitiva anche in Europa. Anche in questo caso, Bruce corre. Veloce.

CAPITOLO 5

Le prime sperimentazioni.

Inizia a prendere forma la prima McLaren da corsa, una biposto con motore Oldsmobile F85 da 4500 cc assemblato su un telaio a traliccio tubolare rinforzato da pannelli in lega, per la quale viene scelto come nome una sigla: M1A. Rispetto alla Zerex Special, questo prototipo gira tre secondi più veloce in occasione dei test di sviluppo a Goodwood.

Il debutto in gara avvenne il 26 settembre 1964 a Mosport ma, al contrario di quanto avvenne l’anno precedente, non vince nonostante la M1A sia la vettura più veloce in pista. Arriva terza, a causa di una lunga sosta ai box per la rottura del cavo dell’acceleratore. Da questo momento in avanti, Bruce McLaren si impegna ancora di più nel suo ruolo di costruttore, pur continuando a gareggiare in Formula 1.

La passione per la tecnica e lo sviluppo di soluzioni innovative lo porta ad iniziare collaborazioni con un ingegnere ed un designer molto promettenti, Robin Herd e Michael Turner. È soprattutto il rapporto con Robin Herd che segnerà il futuro della McLaren, grazie all’esperienza maturata da quest’ultimo in ambito aeronautico e alla conoscenza approfondita dei materiali ad alte prestazioni.

CAPITOLO 6

La caccia al motore.

Sono proprio queste capacità e competenze che portano alla nascita della prima McLaren da Formula 1, la M2B del 1965. Una monoposto che dal punto di vista tecnico propone un’interessante innovazione, come l’uso del Mallite, una speciale struttura a sandwich di derivazione aeronautica costituita da due lamine di lega leggera che racchiudono un’anima di legno di balsa, che consente valori di rigidezza torsionale senza precedenti, circa 13,558 Nm/grado. Purtroppo, ad un quadro tecnico straordinario fa da contraltare una situazione alquanto difficile sul fronte motoristico.

I motori Ford non sono all’altezza di quelli Repco non solo sul fronte della potenza, ma anche dell’affidabilità e i Serenissima (V8 Ford modificati dall’ing. Massimino), impiegati dalla seconda gara, regalano a McLaren la possibilità di giungere solamente due volte a punti chiudendo sedicesimo il campionato piloti.

CAPITOLO 7

I tormenti del giovane Herd.

Per il 1967 si decide così di optare per i motori BRM, ma la situazione non cambia: un solo quarto posto e ben sette ritiri per le vetture denominate M4 ed M5. Le gioie, per McLaren, arrivano dal campionato Can Am dove, al volante della M6A, si laurea campione ma non riescono a togliere dalla testa del neozelandese la Formula 1.

I tormenti di McLaren aumentano quando Herd, dopo aver progettato la M7, annuncia la fine della collaborazione con il team per andare a lavorare al progetto Cosworth, decisa a realizzare una monoposto a trazione integrale nel 1968. Dopo alcuni test svolti in segreto, il progetto venne abbandonato e Herd decise quindi di creare una sua propria scuderia, la March. Ma questa è un’altra storia.

CAPITOLO 8

Un'eredità vincente.

Herd non lascia in eredità alla McLaren solo la M7 di cui parleremo a breve, ma anche la M6A, una sport con telaio monoscocca in pannelli di honeycomb e la carrozzeria in fibra di vetro e poliestere che passò alla storia, oltre che per i suoi successi e titoli Can Am e USSRC, perché fu la prima a portare in gara una livrea di una particolare tonalità di arancio, il McLaren Orange, che avrebbe distinto le vetture della squadra anche negli anni a venire.

La prima monoposto McLaren a scendere in pista con questa livrea è la M7A. Sin dai primi test i riscontri cronometrici sono incoraggianti ed il lavoro con Gordon Coppuck, il vice di Herd promosso al ruolo di progettista capo, da continuità al gruppo di lavoro. Serve un motore che permetta il salto di qualità, che consenta di combattere ad armi pari con le altre scuderie. McLaren opta per il DFV – Cosworth.

CAPITOLO 9

Il grande colpo Hulme.

Il propulsore non è l’unico “colpo” messo a segno dal neozelandese, dal momento che ingaggia il neo campione del mondo, il connazionale Danny Hulme. È la stagione dove anche in Formula 1 la McLaren fa parlare di sé. Quella in cui Bruce corona il sogno a lungo inseguito di vincere un Gran Premio al volante di una monoposto che porta il suo nome. E’ il 9 giugno 1968, il circuito Spa-Francorchamps.

E’ una gara particolare, quella che si disputa in Belgio. Per la prima volta in Formula 1 scende in pista una vettura dotata di alettone posteriore: è la Ferrari di Jacky Ickx. Questa innovazione, ispirata dalle Chaparral che si confrontavano proprio contro le McLaren nel campionato Can Am, non impedisce a Bruce di imporsi al termine di una corsa rocambolesca dove Jackie Stewart, che si trova in testa con mezzo minuto di vantaggio, rimane senza benzina all’inizio dell’ultimo giro, lasciando la strada spianata per il neozelandese. Hulme imita il compagno di squadra in Italia ed in Canada, chiudendo la stagione al terzo posto, mentre la McLaren si laurea vice campione del mondo tra le scuderie.

E’ un anno ricco di sperimentazioni per Bruce che, per non farsi mancare niente, costruisce una monoposto per disputare la 500 Miglia di Indianapolis.

CAPITOLO 10

Il dominio nel Can Am.

Il 1969, per contro, segna un rallentamento sul fronte delle prestazioni della squadra in Formula 1 anche se, a livello personale, McLaren completa la sua migliore stagione di sempre in Formula 1, terminando al terzo posto con 26 punti. Hulme, invece, conquista l’unica vittoria del team nell’ultimo appuntamento dell’anno, a Città del Messico.

Il successo che le Sport McLaren erano state in grado di raggiungere nel campionato Can Am e la superiorità tecnica schiacciante nei confronti degli avversari, aumenta in maniera considerevole la richiesta da parte di team clienti e spinge la stessa scuderia a sviluppare e lanciare nuove versioni o modelli da competizione. Anche da questo si può apprezzare come la visione di McLaren fosse non solo orientata alle performance, ma anche al business, fondamentale per la sopravvivenza stessa del team.

CAPITOLO 11

Un test come tanti.

Nonostante le crescenti pressioni da parte di Teddy Mayer lo spingessero ad appendere il casco al chiodo per dedicarsi solo ed esclusivamente alla gestione del team, la passione di Bruce per la velocità, la sperimentazione e il lavoro a stretto contatto con gli ingegneri in pista era qualcosa a cui fa fatica a rinunciare. Per questo motivo, il 2 giugno 1970, Bruce McLaren si reca a Goodwood, con l’obiettivo di collaudare la M8D, monoposto per il campionato Can Am che si sarebbe guadagnata l’appellativo di “Batmobile” a causa del disegno dei supporti dell’alettone posteriore.

Si cala nell’abitacolo della Sport ed inizia a girare. Ai box, come di consueto, vengono registrati i tempi che a fine sessione sarebbero stati analizzati e discussi, come oramai prassi all’interno del team. Il cronometro però continua la sua corsa senza che un lampo arancione la interrompa. Il rumore del V8 Chevrolet da 680 CV non squarcia più il silenzio di questa parte dell’Inghilterra. I pezzi di quello che resta della M8D, invece, sono sparsi un po’ ovunque dopo che la stessa vettura era andata a sbattere contro una postazione dei commissari, oramai in disuso. Bruce McLaren muore sul colpo.

CAPITOLO 12

Il testamento di McLaren.

La tragica e prematura scomparsa di McLaren lascia sgomento tutto il mondo del motor sport e pone fine ad una storia che assomiglia tanto a quelle favole che si raccontano ai bambini. L’eredità lasciata da McLaren è solida e Teddy Mayer continuerà a far progredire la squadra anche negli anni seguenti, fino a conquistare una splendida doppietta – titolo mondiale piloti e costruttori – nel 1974 grazie al brasiliano Emerson Fittipaldi nel 1974, seguito due anni più tardi da James Hunt.

Nel 1981, cedendo alle pressioni dell’allora sponsor Philip Morris e del suo direttore John Hogan, Mayer acconsente alla fusione con il team Project Four fondato da un ex meccanico della McLaren, Ron Dennis. Con lui, inizia l’era più vincente della scuderia, ma questa è un’altra storia.

Quella di Bruce McLaren, invece, continua. Attraverso il suo modo di sorridere alla vita, di superare le difficoltà, di appassionarsi alla tecnica, di sperimentare nuove soluzioni e di impegnarsi a fondo nella ricerca del limite, per superarlo. In fondo, come ebbe modo di scrivere egli stesso nell’epitaffio con cui ricordò Timmy Mayer: “La vita non si conta in anni ma in obiettivi raggiunti”.

La monografia soprastante è stata scritta in esclusiva per FormulaZero e non può essere copiata, duplicata, replicata o modificata senza il previo consenso dell'autore.
Luca Giraldi
Per FormulaZero

LE STATISTICHE

I numeri curati da Davide Marchi

Campione del mondo Costruttori 1978
Campione del mondo Costruttori 1973
Campione del mondo Costruttori 1972
Campione del mondo Costruttori 1970
Campione del mondo Costruttori 1968
Campione del mondo Costruttori 1965
Campione del mondo Costruttori 1963
Campione del mondo piloti 1978
Campione del mondo piloti 1972
Campione del mondo piloti 1970
Campione del mondo piloti 1968
Campione del mondo piloti 1965
Campione del mondo piloti 1963
0
Gran Premi disputati
0
Vittorie
Percentuale vittorie
13.36%
0
Punti ottenuti
0
Pole position
Percentuale pole position
17.65%
0
Km percorsi al comando
0
Giri più veloci
Percentuale giri più veloci
12.54%

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