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CAPITOLO 1

L'azzardo di Anthony Noghès.

Il Principato di Monaco è il luogo ideale, dopo Las Vegas, per coloro i quali amano rischiare tutto ai tavoli del casinò. Qui, dove l’azzardo è di casa, non deve sorprendere che sorga uno dei circuiti più rischiosi, magici ed impegnativi della Formula 1. Una pista che ha rappresentato e rappresenta tutt’oggi una sfida a tutto tondo per piloti, vetture e team che decidono di affrontare questo circuito. Un tracciato ricco di storia eppure quasi immutato nel suo disegno dal 1929, anno della prima edizione, ad oggi.

L’idea di organizzare una corsa tra le tortuose stradine del Principato, venne ad Antony Noghès. Il vulcanico presidente dell’Automobile Club de Monaco, promotore del rally di Monte Carlo nel 1911 ed “inventore” della bandiera a scacchi per segnalare la fine di una corsa, grazie alla sua vicinanza alla famiglia Grimaldi ed al supporto di Louis Chiron, riuscì nel suo intento e, il 14 aprile 1929, sedici piloti si sfidarono lungo i 3.180 metri della pista che dovevano affrontare per 100 giri. A spuntarla, dopo quasi quattro ore di gara, fu l’inglese William Grover-Williams al volante di una Bugatti.

CAPITOLO 2

Sempre fedele a sé stessa.

La pista, rispetto al disegno a cui siamo abituati oggi, aveva un andamento più filante, complice anche il fatto che l’urbanizzazione dell’area non era ancora “densa” quanto quella odierna. Era anche diverso il punto da cui le vetture scattavano al via del Gran Premio, in corrispondenza dell’odierno lungomare, e la prima curva, il tornantino detto del Gasometro, che immetteva sull’odierno rettifilo principale.

La principale differenza rispetto ad oggi era data dal tratto in uscita dal tunnel fino al Gasometro, caratterizzato da una semplice – per quanto velocissima e pericolosa – chicane e dalla curva del Tabaccaio, che immetteva sul traguardo.

Dopo aver spostato la zona della partenza nel 1962, il disegno della pista subì delle significative modifiche nel 1973 anche perché, nel frattempo, un nuovo piano regolatore stava facendo cambiare volto al Principato. La costruzione dell’Hotel Loews andò a rimpiazzare quella che era la vecchia stazione ed obbligò ad allungare il tunnel sotto il quale transitavano le monoposto.

Il nuovo complesso delle Piscine trasformò in maniera radicale l’andamento rettilineo del vecchio traguardo che ora risultava spezzato da due chicane raccordate da un breve allungo. Anche il tornantino del Gasometro venne cancellato per far spazio al ristorante “La Rascasse” che ancora oggi da il nome alla curva. Il tornante che lo rimpiazzava, più ampio del precedente, immetteva su una curva che venne dedicata ad Antony Noghès.

CAPITOLO 3

Le prime assolute.

Il disegno rimase invariato fino al 1986, anno in cui venne introdotto il nuovo disegno della chicane all’uscita del tunnel, ritenuta troppo pericolosa, sostituita da una doppia “esse” capace di rallentare sensibilmente la velocità delle monoposto. Da quell’anno, il tracciato ha subito modifiche marginali, ad eccezione della corsia box e degli edifici che ospitano i team durante il Gran Premio.

Essendo parte integrante della Formula 1, è difficile scegliere alcune tra le più significative edizioni del Gran Premio di Monte Carlo poiché ogni gara, nel suo piccolo, è entrata nella storia di questo sport. Gloria mescolata a drammi, colpi di scena mescolati a domini assoluti, gare elettrizzanti mescolate a corse soporifere, questo e molto altro è stato il Gran Premio di Monaco.

Dal punto di vista storico e tecnico, vanno ricordate le edizioni del 1958 e del 1981. Nel primo caso, ad imporsi fu Maurice Trintignant al volante della Cooper Climax: fu la prima vittoria di una monoposto a motore posteriore a Monaco. Nel secondo caso, sul gradino più alto del podio salì Gilles Villeneuve, al volante della Ferrari 126 CK: gli annali registrarono la prima affermazione di un motore turbo compresso sulle stradine del Principato.

CAPITOLO 4

Drammi sfiorati e vissuti.

Drammatiche, invece, le edizioni del 1955 e del 1967. Nella prima, Alberto Ascari, mentre si trovava al comando al volante della sua Lancia approfittando del ritiro del leader Stirling Moss, a venti giri dalla fine finì in mare alla chicane in uscita dal Tunnel, probabilmente a causa del bloccaggio del freno anteriore destro.

Fortunatamente, il pilota italiano uscì indenne dal terribile incidente, risultato di un freddo calcolo che lo aveva portato a scegliere tra lo schiantarsi contro una piccola tribuna affollata, un muretto di sabbia o un “tuffo” in mare.

Diverso, e purtroppo tragico, l’incidente che, nello stesso punto ma dodici anni più tardi, tolse la vita a Lorenzo Bandini. Il promettente pilota italiano, finalmente prima guida Ferrari, si stava producendo in una furiosa rimonta con la quale stava cercando di rimediare ad un errore che lo aveva fatto retrocedere in classifica.

Per cause mai del tutto accertate, sebbene la stanchezza fosse la principale indiziata, Bandini perse il controllo della Ferrari alla chicane, rovesciando la monoposto che rapidamente venne avvolta dalle fiamme, spente solo dopo tre minuti e mezzo. La scomparsa del pilota italiano, deceduto dopo 70 ore di agonia, aprì un acceso dibattito sulla sicurezza del tracciato, sulla preparazione dei commissari e degli addetti ai soccorsi e sulle dotazioni di cui questi ultimi disponevano.

CAPITOLO 5

Si salvi chi vuole vincere.

Il Gran Premio di Monaco però ha saputo offrire spettacoli decisamente inconsueti, come nelle edizioni del 1982 e del 1996. Nel 1982 la gara seguì quella drammatica di Zolder che registrò la scomparsa, durante le qualifiche, di Gilles Villeneuve. L’esito della corsa sembrava scontato con una facile vittoria solitaria per Alain Prost, ma un improvviso acquazzone a due giri dalla bandiera a scacchi scompaginò ben presto le carte in tavola e dette il via ad un valzer di piloti al comando.

Patrese, che aveva ereditato il primo posto dal pilota Renault, finì in testacoda al tornante del Loews, cedendo la leadership a Didier Pironi. L’unico pilota schierato dalla Ferrari non occupò a lungo quella posizione in quanto la sua monoposto si ammutolì sotto il Tunnel. Toccò quindi ad Andrea De Cesaris issarsi al comando ma, anche in questo caso, la sfortuna si accanì contro il pilota romano che fermò la sua Alfa Romeo senza benzina lungo la pista.

A questo punto, per il doppiato Derek Daly sembrò materializzarsi l’occasione della vita ma il portacolori della Williams andò a sbattere a La Rascasse a causa di un problema al cambio. La Brabham di Patrese, che nel frattempo aveva ripreso la corsa dopo essere riuscito a riavviare il suo motore Ford sfruttando proprio l’abbrivio offerto dalla discesa che dal tornante Loews porta al Portier, tagliò il traguardo, unico dei piloti partecipanti a pieni giri.

Patrese, al suo primo successo in Formula 1, non aveva tuttavia realizzato di aver appena conquistato il prestigioso Gran Premio e la confusione, anche in direzione gara, non mancò. A risultati congelati, il palco d’onore vide protagonisti Patrese, Pironi e De Cesaris, al suo primo podio iridato.

Passò alla storia il commento fatto in diretta da James Hunt, allora seconda voce alla BBC: “Ebbene noi siamo in questa situazione ridicola in cui siamo tutti seduti sulla linea del traguardo in attesa dell’arrivo di un vincitore e non ci sembra di averne uno!

CAPITOLO 6

Storie di bandiere rosse e di fenomeni.

L’edizione del 1996 viene invece ricordata per un’altra “ecatombe” di vetture, visto che tagliarono il traguardo solamente quattro monoposto di cui tre a pieni giri. A vincere quella gara ad eliminazione fu Olivier Panis su Ligier davanti a David Coulthard su McLaren e Johnny Herbert al volante di una Sauber. La gara venne interrotta a tre giri dal termine per il superamento del limite massimo di due ore consentito dal regolamento.

La bandiera a scacchi anticipata più famosa mai sventolata a Monte Carlo fu quella stretta dalle mani di Jacky Ickx nel 1984 che interruppe al 32simo giro, a causa della pioggia che stava scendendo copiosa, la fenomenale rimonta ai danni di Alain Prost di un giovane pilota brasiliano, alla sua prima stagione in Formula 1 al volante di una monoposto non di prim’ordine come la Toleman Hart: Ayrton Senna da Silva.

In una pista al limite dell’impraticabile, Senna sembrò disputare uno sport diverso da tutti gli altri piloti e, mentre il leader Prost agitava la mano per chiedere la sospensione della corsa, il brasiliano guadagnava secondi su secondi al giro. Quando la Toleman fu a due soli secondi dal leader, Ickx espose la bandiera rossa assieme a quella a scacchi, impedendo a Senna di conquistare la sua prima vittoria in Formula 1.

Le polemiche furono violentissime e furono in molti a sostenere che Ickx avesse voluto favorire il francese. In realtà, Ickx – che fino a quel momento veniva considerato il “re della pioggia” – aveva ben giudicato la pericolosità della situazione in pista. L’appuntamento con il podio d’onore, per Senna, fu però rinviato di due soli anni quando trionfò al volante della McLaren Honda.

Fu il primo dei suoi sei successi a Monte Carlo anche se, paradossalmente, il brasiliano non riuscì a vincere nell’anno in cui il suo feeling con il toboga monegasco fu totale.

CAPITOLO 7

La qualifica perfetta di Senna.

Era il 1988. Senna si presentò nel Principato forte di una monoposto, la MP4/4, che risultava essere quella da battere e con un solo rivale: il compagno di squadra Alain Prost. In qualifica, Senna mise in mostra tutto il suo talento, la sua audacia, la sua freddezza e la sua fede in un Dio che è diverso da quello degli altri, perché ama la velocità.

Il brasiliano era in stato di grazia e, nonostante fosse comodamente in pole, decise di far capire chi, tra lui e Prost, era il migliore. Così, scese in pista nuovamente. “Ero già in pole e stavo andando sempre più veloce. Ad ogni curva acquisivo velocità. Mezzo secondo, un secondo più veloce e non mi sono fermato. Guidavo guidato dall’istinto, ero in un’altra dimensione. L’intero circuito era per me un tunnel, continuavo ad andare veloce, ero ben oltre il limite ma riuscivo a trovare un altro limite da superare. Improvvisamente qualcosa mi colpì, mi risvegliai, alzai il piede. Tornai lentamente ai box, spaventato, con la consapevolezza di essere stato al di là della normale percezione e di essere incredibilmente vulnerabile. Quel giorno dissi a me stesso “Questo è il livello massimo che posso raggiungere, non c’è margine per ulteriori miglioramenti”. Non ho provato mai più la stessa sensazione”.

Al termine della qualifica, il distacco tra Ayrton e Prost fu di 1”427, tutti gli altri furono staccati di oltre 2”687. Dopo una prestazione di questo tipo, il successo di Senna sembrava cosa scontata. E, fino al 67simo giro, niente lasciava supporre il contrario dal momento che erano oltre 50 i secondi che lo aveva di vantaggio sul primo degli inseguitori, Prost. Ma un calo di concentrazione (o, come Senna avrebbe confessato solo a molti anni di distanza, una rottura meccanica della sua monoposto) produsse il risultato inatteso: il ritiro dopo aver sbattuto con la sua McLaren all’uscita del Portier.

Senna fu così deluso che non rientrò neppure ai box, ma si diresse direttamente nel suo appartamento di Monaco.

CAPITOLO 8

Rien ne va plus, les jeux sont faits.

Le sei vittorie di Ayrton Senna e le cinque di Michael Schumacher e Graham Hill, sono testimoni del fatto che a Monte Carlo non si vince se non si è dei campioni o se si trascurano i dettagli.

Come insegna Juan Manuel Fangio che, nel 1950, uscì indenne da un maxi incidente provocato da un’onda anomala che aveva allagato la pista al primo giro perché rallentò quando si accorse che il pubblico stava guardando altrove anziché nella direzione delle macchine. Grazie a questo espediente, vinse la gara.

Vincere a Monte Carlo rappresenta, per ogni pilota, la coronazione di un sogno perché conquistare il successo lungo queste stradine non ha eguali e perché Monte Carlo, con il suo fascino fuori dal tempo, fa entrare i suoi campioni direttamente nella leggenda della Formula 1.

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Luca Giraldi
Per FormulaZero

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