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CAPITOLO 1

La storia di un genio.

Clark, Rindt, Senna, Mansell, Hill, Fittipaldi… Lotus 25, la 49, la 78… le sportive Seven, Elan, Elise, motoscafi come il Moonraker…. Un unico fattore comune: Anthony Colin Bruce Chapman, il fondatore della Lotus Engineering.

Questa non è una storia di un uomo comune, bensì di un personaggio straordinario che con innovazioni, grinta e genio ha saputo imprimere un segno indelebile all’automobilismo internazionale del dopoguerra.

Nato a Richmond, nel Surrey, il 19 maggio 1928, studiò ingegneria e incominciò ad appassionarsi ai motori cominciando con le moto: la prima la distrusse contro la portiera di un taxi.
Passò alle auto, e sulla prima Morris incominciò a stabilire record nei tragitti casa-scuola in compagnia di Colin Dare e Hazel Williams, suoi amici dal 1945. Proprio con loro Colin incominciò la sua attività: compravano e rivendevano auto e dal momento in cui cominciarono ad elaborarle i profitti e l’impegno crebbero a dismisura. Gli studi vennero abbandonati.

L’attività funzionò fino al 1947 quando, per motivi di normativa fiscale e per la grave crisi petrolifera, il mercato dell’auto di seconda mano ebbe un crollo. Il sodalizio fu sciolto e tutto quello che rimase fu una vecchia Austin 7 del 1937 che divenne la base della Lotus Mk I. Colin tenne lo chassis e il cambio e modificò tutto il resto applicando le sue conoscenze di tecniche costruttive aeronautiche. Ne uscì un prototipo che nel 1948 vinse la sua categoria in un paio di occasioni.

CAPITOLO 2

Nasce la Lotus.

Chapman fu arruolato nella RAF e divenne pilota apprendendo sempre più cose sulle “macchine volanti”. Laureatosi finalmente in ingegneria (con specializzazione in ingegneria strutturale) applicò queste nuove idee alla Mark II sulla quale installò un motore più potente.

Nel 1950, ritornato alla vita civile, si trasferì alla British Aluminium Company nel settore delle vendite e, nel frattempo, mise a punto la Mark II che vinse una serie di gare e fu alla fine venduta a Mike Lawson, lo zio di Stirling Moss, che vinse non meno di 17 gare nei successivi 12 mesi a bordo della stessa.

Nel 1952, in gennaio, Chapman fondò la Lotus Engineering & Co, a Tottenham Lane, mettendosi in aspettativa alla British Aluminium.

L’introduzione di una formula 750cc fu lo spunto per realizzare la Mark III, che, guidata dallo stesso Colin, vinse gare a ripetizione dimostrandosi molto competitiva e rendendo celebre il marchio Lotus. Il dominio delle nuove vetture dette fastidio a più di qualche costruttore, così il regolamento venne modificato con lo specifico intento di ridare un po’ di fiato alla stra battuta concorrenza. Fu solo la prima di una serie di volte che questo sarebbe successo. La Lotus Mk3 fu richiesta da altri piloti e ne furono costruite delle copie rendendola di fatto la prima Lotus costruita per la vendita.

CAPITOLO 3

Il primo telaio tubolare.

L’auto successiva fu la Mk4 realizzata per Mike Lawson che vinse a ripetizione nel 1952.
Nel 1953 la società Lotus si trasformò in Lotus Engineering Co. Ltd, con Colin Chapman e Hazel Williams nel ruolo di direttori e si avvalse anche dell’apporto di Frank Costin, esperto in aerodinamica.

La Mk VI vide la comparsa del primo telaio tubolare, poiché Colin si rese conto che il telaio Austin aveva dei limiti strutturali e che irrigidito e rinforzato per l’uso sportivo diventava troppo pesante. Studiò dunque un nuovo telaio tubolare estremamente robusto e leggero dove ogni elemento aveva la sua funzione strutturale. La macchina fu un successo e gli ordinativi da parte della clientela crebbero. La Lotus divenne una realtà consolidata, Colin sposò Hazel e cominciò ad occuparsi della sua factory a tempo pieno. Alla fine degli anni 60 fu centrato l’obiettivo di vincere nella categoria Sport a Le Mans. Superato questo traguardo l’interesse venne spostato sulle vetture a ruote scoperte: la Formula Junior, Indianapolis e la regina di tutte, la Formula Uno.

L’approdo alla massima espressione dell’automobilismo sportivo arrivò per gradi: nel 1959 presentò infatti la Type 18, la prima monoposto a fregiarsi del logo Lotus. Fin da subito balzò agli occhi di molti l’incredibile somiglianza tra le Lotus e le Vanwall, sebbene Chapman non avesse “copiato” le soluzioni introdotte sulle vetture di Vandervell: semplicemente aveva capito che era proprio l’aerodinamica – settore in cui le Vanwall primeggiavano – la componente da privilegiare nella ricerca costruttiva di una monoposto vincente ed all’avanguardia.

CAPITOLO 4

Innovazione e tecnologia per vincere.

Chapman amava la sfida se è vero che la sua piccola scuderia andava a scontrarsi contro Porsche, Ferrari, Cooper tanto per citare alcune marche presenti e impegnate in quegli anni. Ma lo fece senza paura, tanto che il Team Lotus, alla fine, vinse un campionato dopo l’altro tra il 1960 e il 1980 diventando il team col maggior numero di vittorie.

Innovazione e massimo sfruttamento della tecnologia per fare macchine più veloci della concorrenza erano la base della ricetta vincente di Colin Chapman.
Con questa filosofia schierò sulle griglie di partenza macchine efficacissime e originali “esperimenti”, motorizzazioni a turbina, quattro ruote motrici, la prima monoscocca e il primo motore utilizzato anche come componente strutturale, il primo telaio in compositi per una vettura stradale… Una lunga catena di innovazioni mai viste prima.

Se altre squadre o Case costruttrici introducevano soluzioni rivoluzionarie, Chapman cercava di studiarle e farle diventare micidiali sulle sue vetture. La prima monoposto a motore posteriore a risultare vincente in un Gran Premio, ad esempio, non fu una Cooper che aveva introdotto la trazione posteriore nel 1959, bensì una Lotus 18, affidata al velocissimo Stirling Moss, a Monaco, sebbene sotto la gestione del Team di Rob Walker. Il primo successo ufficiale giunse alla fine dell’anno seguente, con Innes Ireland, a Watkins Glen, in occasione del Gran Premio degli Stati Uniti.

CAPITOLO 5

La prima monoscocca.

Lo stesso pilota che Chapman stesso non esitò a “scaricare” appena qualche mese più tardi a causa del suo eccessivo appagamento dopo quel risultato. Era pragmatico, Chapman. Però era anche uno “scopritore” di talenti. Il sedile di Ireland, infatti, venne affidato ad un giovane scozzese che all’anagrafe rispondeva al nome di Jim Clark. Nasceva così una delle accoppiate che scriverà pagine indelebili nella storia della Formula 1.

Con la Lotus 25, Chapman introdusse la prima monoscocca preparando il terreno per quella che sarebbe stata una delle vetture più fortunate della scuderia inglese: la Lotus 49. Un gioiello che univa la genialità di Chapman, il talento di Clark e l’inventiva di Mike Costin e Keith Duckworth, i creatori della Cosworth. Furono proprio questi ultimi i padri di quello che divenne il motore più vittorioso della storia della F1: il Ford Cosworth DFV.
La prima vittoria di questa unità risale all’edizione ’67 del GP d’Olanda dove fu condotto magistralmente alla bandiera a scacchi da Jim Clark.

Con le sue vittorie, il suo stile impeccabile ed il suo inarrivabile talento, Clark non era solo diventato l’idolo delle folle, ma anche dello stesso Chapman. Anche perchè lo scozzese non solo vinceva titoli a ripetizione in Formula 1, ma regalava anche spettacolo a bordo della Lotus Cortina.

Furono forse gli anni migliori per la Lotus che, come detto, conquistò a raffica titoli piloti e costruttori grazie a Jim Clark. Una serie di successi che rese le Lotus “vetrine” ideali per gli sponsor che volevano affacciarsi al mondo della Formula 1. Così, nel 1968, le monoposto inglesi furono le prime vetture a beneficiare dell’ingresso di munifici sponsor nella massima formula, tra questi Gold Leaf della Players.

CAPITOLO 6

Il trionfo a Indy, il dramma di Clark.

Con l’afflusso di nuovi fondi, Chapman poté dedicarsi anche ad altre sfide, prima tra tutte quella alla 500 miglia di Indianapolis già vinta con Clark il 31 maggio 1965 (su Lotus 38). Per questa “classicissima” ideò una monoposto con motore a turbina che lo stesso Clark testò di ritorno dal trionfo in Tasman Cup con quattro successi su sette gare. Fu l’ultimo titolo per Clark che, di li a poco, perse tragicamente la vita durante una gara di Formula 2, ad Hockenheim. Per Chapman fu un colpo tremendo non solo perchè aveva perso il suo “pupillo” ma anche perchè – per la prima volta – le sue monoposto vennero messe sotto accusa, giudicate troppo leggere e poco sicure.

Cambiò, Chapman, nel rapporto con gli altri piloti poiché nessuno riuscì a sostituire Clark nel suo cuore. Neppure l’inglese Graham Hill che, sempre su Lotus, conquistò nel 1968 il titolo mondiale con la Lotus. Non si fece molti scrupoli a licenziarlo, infatti, dopo che l’iridato si ruppe le gambe a seguito di un’uscita di pista al Glen.

Che Chapman desse fastidio, era fuori discussione: troppo vincente per non attirare invidie ed antipatie nel paddock. Così, ogni occasione risultava ideale per attaccarlo. La fragilità delle Lotus, purtroppo, prestava moltissimi assist ai suoi detrattori.

La morte di Rindt a bordo della Lotus 72, nel 1970, durante le prove del Gran Premio d’Italia, sembrava quasi disegnata da uno sceneggiatore beffardo. L’austriaco, infatti, si lamentava continuamente della scarsa robustezza della sua monoposto…

CAPITOLO 7

Alla ricerca del limite.

Questi fatti, tuttavia, non tolsero a Chapman la voglia di confrontarsi nel palcoscenico della Formula 1, anzi.

Chapman pensava che una vettura da Gran Premio dovesse rompersi esattamente dopo il traguardo. Il fine era quello di vincere la gara non di portare in giro del peso inutile! Alla base di questa filosofia strutturale il dimensionamento dei pezzi e il design delle componenti sotto sforzo seguiva un iter non comune al mondo ingegneristico di allora. Colin dimensionava il pezzo poi lo riduceva all’osso e lo sottoponeva al test dell’uso su pista vedendo dove e dopo quanto si rompeva; solo allora lo rinforzava e lo faceva nel miglior modo possibile.

Questa “inaffidabilità latente” rendeva un po’ nervosi i piloti e serviva di sponda a chi voleva criticarlo accusandolo di costruire vetture poco sicure o, quantomeno, di rischiare la vita dei piloti per migliorare le prestazioni. Rimane il fatto che fosse un approccio filosofico al problema estremamente innovativo e remunerativo in termini prestazionali, superato solo dall’impiego massiccio di sistemi di calcolo numerico e software specifico proprio dei giorni nostri.

Per lui il Circus rappresentava uno straordinario banco di prova per soluzioni ingegneristiche innovative, espressione del genio del progettista e non costrette alle “fastidiose” limitazioni necessarie per adattarle sulle vetture di serie.

CAPITOLO 8

Più forte della crisi.

Neppure la crisi energetica del 1973 intimidì Chapman, sebbene anche la Lotus risentì – come tutte le Case automobilistiche – dei contraccolpi economici. Reagì, infatti, comportandosi come aveva sempre fatto: inventando e rivoluzionando. Fu così che con modelli quali Elite (seconda generazione), Eclat ed Esprit, Chapman introdusse la vetroresina tra i materiali utilizzabili per la carrozzeria.

È stato detto che Colin Chapman ha influenzato più di ogni altro l’automobile moderna. Forse è una dichiarazione eccessiva, non si possono certo negare i contributi dei suoi grandi rivali ma è indubbio che l’attuale stato di sviluppo dell’auto e delle sue componenti sia dovuto a Colin Chapman ingegnere innovatore e geniale.

Le sue capacità tecniche si svilupparono al meglio nella concezione di vetture innovative in netta contrapposizione ad un imperante conservatorismo tecnico allora diffuso nell’industria britannica. I costi elevati di una tecnologia venivano superati proponendo l’impiego di materiali innovativi supportati da nuovi metodi di valutazione.

CAPITOLO 9

L'incredibile Elite.

Nel caso dell’Elite, Colin cercava una “via” per realizzare una macchina di peso contenuto ma di elevate prestazioni strutturali; rendendosi conto che la realizzazione con tecniche tradizionali sarebbe risultata troppo costosa esplorò l’impiego della fibra di vetro per il telaio della vettura. A differenza di altre vetture che già allora impiegavano la fibra di vetro per la realizzazione della carrozzeria, la Lotus Elite aveva una monoscocca in fiberglass.

Il risultato fu una vettura che, pur dotata di un motore di soli 75HP, aveva prestazioni paragonabili alle migliori GT. Una vettura di meno di 640 Kg da 1200cc che poteva rivaleggiare con modelli spinti da motori di 3000cc. Finezza contro forza bruta. Va detto che la chiave del successo di questo modello va anche attribuito all’eccellente coefficiente di penetrazione aerodinamica (0,029) merito di Frank Costin. Un’ulteriore testimonianza dell’attenzione a 360 gradi posta alla base dello sviluppo di una vettura in casa Lotus.

La ricerca di soluzioni ardite ed estreme non era solo condizionata dalla limitatezza delle risorse economiche: Chapman era innanzitutto un perfezionista che adorava impadronirsi completamente delle soluzioni tecnologiche che esplorava. Il suo semplice approccio alla costruzione di un modello partiva dalla scelta delle gomme con un occhio di riguardo alla velocità ed al peso della vettura. Seguivano la scelta del motore, della sua posizione e degli altri elementi (cambio, pilota…). Una volta collegati questi elementi con un telaio passava allo studio delle sospensioni che dovevano soddisfare, nella loro azione, i requisiti prefissati con riguardo al minimo spostamento del centro di rollio, al mantenimento del camber dinamico corretto e al rispetto dell’altezza minima da terra.

Colin era totalmente padrone del processo progettuale e di solito passava dalla fase di concezione di un’idea allo sviluppo del progetto di dettaglio in tempi brevissimi.

CAPITOLO 10

La rivoluzionaria 78.

Mai arrendersi, ma inventare. Poteva essere questo il “motto” di casa Lotus. Ecco perchè Chapman, per reagire alle difficoltà della sua scuderia di Formula 1, nel 1975 istituì un reparto preposto alla ricerca ed allo sviluppo di nuove soluzioni vincenti. Ancora una volta, il geniale inglese aveva visto giusto e da quel reparto uscì l’ennesima rivoluzione: la Lotus 78, prima vettura ad effetto suolo della storia della Formula 1.

Questa monoposto fu capostipite di una nuova generazione di veicoli e della definitiva affermazione dell’importanza dell’aerodinamica sulla meccanica. La Lotus 78 disponeva di profili alari capovolti sotto la parte centrale della scocca, capaci di generare una forza verso il basso che contribuiva in maniera determinante a tenere l’auto letteralmente incollata all’asfalto.

Il cosiddetto “effetto Venturi” che si sviluppava in corrispondenza della massima velocità del flusso d’aria sotto la macchina, consentiva di generare una spinta verso il basso di ben 900 kg che, oltre al peso della monoposto, consentivano all’auto di percorrere le curve veloci attaccata al suolo come su “binari”.

CAPITOLO 11

Il dominio firmato 79.

Sei gare vinte nel 1977 e il dominio nella stagione successiva con la mitica Lotus 79 rendono bene l’idea del gap che Colin riuscì a scavare tra sé e i rivali grazie alla genialità delle sue trovate.

Il 1978 fu l’anno dell’ultimo titolo mondiale della Lotus, conquistato da Mario Andretti nello stesso giorno in cui Ronnie Peterson, suo compagno di squadra, perse tragicamente la vita a Monza.

La Lotus 79, pur essendo formidabile, era ancora “acerba” per certi versi. Ad esempio non era in grado di reggere i carichi elevati derivanti dall’effetto suolo. Così, per usare le parole di Ross Brawn: “La Lotus aveva un indubbio vantaggio aerodinamico, ma quando qualcuno utilizza quei concetti su una vettura meglio preparata ad accoglierli finisce per creare una monoposto vincente”. Nacque la Williams FW07 e calò il sipario sulla Lotus.

CAPITOLO 12

Il doppio telaio e lo scandalo De Lorean.

Chapman, che amava troppo la luce dei riflettori per privarsene e che, soprattutto, non accettava di buon grado il fatto di perdere il confronto con un’altra scuderia britannica, cercò nuovamente l’idea capace di creare un ulteriore divario tra le sue monoposto e quelle avversarie. L’idea arrivò e fu – al solito – rivoluzionaria. Doppio telaio, Lotus 88.

Una monoposto forse troppo spinta tanto che i suoi piloti, Elio De Angelis e Nigel Mansell, erano piuttosto recalcitranti all’idea di mettersi al volante di quella vettura, anche se per pochi giri. Ci pensò la federazione, in ogni caso, a bandire quella soluzione, nonostante la Lotus si fosse affidata ad un consulente legale. Fu questa, probabilmente, la sconfitta più grave per Chapman che non fu più in grado di riprendersi, scottato anche da uno scandalo internazionale legato all’affare De Lorean, una lussuosa vettura sportiva due posti secchi che doveva essere costruita con i sussidi del governo.

Quando morì, il 16 dicembre 1982, a causa di un attacco di cuore nella sua casa di Norfolk, Chapman lasciò bruscamente un mondo che era abituato a vederlo lanciare il suo berretto nero ad ogni vittoria delle sue creature. Attorno alla sua morte, ancora oggi, molti nutrono forti sospetti e c’è chi giura che il geniale progettista sia ancora vivo.

Sicuramente lo sono le sue idee, le sue monoposto, le sue vetture ed un nome – Lotus – che ancora oggi fa sognare migliaia di tifosi in tutto il mondo. Un nome salito nell’Olimpo della Formula 1 e destinato a rimanerci. Per sempre.

La monografia soprastante è stata scritta in esclusiva per FormulaZero e non può essere copiata, duplicata, replicata o modificata senza il previo consenso dell'autore.
Giovanni Nuvoli
Per FormulaZero

LE STATISTICHE

I numeri curati da Davide Marchi

Campione del mondo Costruttori 1978
Campione del mondo Costruttori 1973
Campione del mondo Costruttori 1972
Campione del mondo Costruttori 1970
Campione del mondo Costruttori 1968
Campione del mondo Costruttori 1965
Campione del mondo Costruttori 1963
Campione del mondo piloti 1978
Campione del mondo piloti 1972
Campione del mondo piloti 1970
Campione del mondo piloti 1968
Campione del mondo piloti 1965
Campione del mondo piloti 1963
0
Gran Premi disputati
0
Vittorie
Percentuale vittorie
13.36%
0
Punti ottenuti
0
Pole position
Percentuale pole position
17.65%
0
Km percorsi al comando
0
Giri più veloci
Percentuale giri più veloci
12.54%

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