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CAPITOLO 1

The Shunt.

In Inghilterra quel giovane biondo, considerato da tutti un playboy più che un pilota serio, era soprannominato “Hunt the Shunt”, ovvero Hunt l’Incidente. La Formula 3, nel 1970, rappresentava un mondo difficile, dove la gente correva con il coltello tra i denti, e le ruotate erano all’ordine del giorno, con incidenti spettacolari, che fortunatamente non provocavano grossi danni.
Hunt the Shunt c’era spesso coinvolto.

C’erano gare internazionali di grande livello con i francesi e gli inglesi grandi dominatori: Depailler, Jabouille, Laffite, Williamson, Purley, Lauda (si, proprio Niki, il quale poi pensò che correre in Formula 2 era meno rischioso e saltò di categoria senza avere nemmeno vinto una corsa in Formula 3). In Italia purtroppo non c’erano grossi piloti emergenti capaci di confrontarsi con gli altri campioni europei, e avremmo dovuto attendere una decina di anni prima che Bruno Giacomelli fosse in grado di dominare la Formula 3 inglese come solo Senna avrebbe poi fatto negli anni successivi.

James Simon Wallis Hunt, questo il suo nome completo, era il secondo di sei fratelli, figlio di un agente di cambio. Educato in un college inglese di fama, il Wellington (nel Berkshire), Hunt non era un borioso, anzi, la dote che emergeva di più era la sua spontaneità e simpatia. Insomma, anche quando non era un vincente aveva già un suo seguito.

Fin dalla più giovane età, Hunt dimostrò di essere portato per il mondo dello sport, distinguendosi – in particolare – tanto nel tennis quanto nello squash. Ma non erano quelle le discipline adatte a lui. Quando, a venti anni esatti, esordì nel mondo dell’automobilismo al volante di una Mini, questo giovane inglese capì che quello era il suo mondo. Investì tutti i suoi soldi per acquistare una Russel-Alexis Formula Ford, che gli permise di muovere i primi passi nella categoria junior. Non si trattò di un debutto semplice, dal momento che i concorrenti che davano vita ai campionati minori erano pronti a tutto, pur di emergere. Erano all’ordine del giorno, infatti, ruotate ed incidenti. Fu all’interno di quel mondo che Hunt si formò professionalmente.

CAPITOLO 2

La scommessa di Lord Hesketh.

Hunt credeva decisamente nel suo potenziale e non nascondeva di voler raggiungere l’ambizioso obiettivo di approdare in Formula 1. Fu anche per questo che accettò di lavorare per un commerciante d’auto che, in questo modo, lo finanziava sulle piste.

Il 1969 fu un anno importante. Le doti di Hunt, infatti, non erano passate di certo inosservate tanto che ricevette l’offerta, da parte della Motor Racing Enterprises, di partecipare alla Formula Ford. Quando, a metà anno, la Motor decise di schierare nel campionato nazionale una Brabham Formula 3, il volante fu affidato ad Hunt. A fine stagione, a conferma del fatto che questo pilota aveva talento da vendere, gli fu attribuito il Grovewood Award, un riconoscimento – allora – molto prestigioso.

Divenne anche il pilota di riserva della March e dopo che un grave incidente coinvolse, in Francia, l’allora prima guida del team – Ronnie Peterson – Hunt fu chiamato a guidare una March 963 prototipo, sul circuito di Brands Hatch. A bordo di una vettura sulla quale – lo dichiarò in seguito – non avrebbe mai più voluto salire, si qualificò ottavo.

Nel 1970, invece, Hunt riuscì a trovare gli sponsor capaci di garantirgli l’acquisto di una Lotus 59 per il campionato di Formula 3. L’anno fu quantomeno ricco di luci ed ombre. Sebbene avesse conquistato il primo successo della sua carriera in Formula 3 a Rouen-les-Essarts, in Francia, e si fosse ripetuto a Zolder e alla Coupe de l’Avenir, Hunt si rese protagonista di molteplici incidenti. Ben presto fu battezzato, come detto, Hunt “The Shunt”.

CAPITOLO 3

L'articolo mai arrivato.

Un episodio curioso che si può citare e che può rendere l’idea della propensione all’incidente di Hunt, è quello che lo lega ad una nota rivista automobilistica di casa nostra: Autosprint. Hunt aveva iniziato a collaborare con la testata bolognese ma subito dopo la gara di Zandvoort del campionato inglese di F.3, gli inviati aspettarono invano il suo resoconto della gara. Hunt, infatti, era impossibilitato a raccontare la sua corsa dal momento che si trovava in ospedale per accertamenti in seguito ad un incidente provocato da un lungo alla curva Tarzan, con tanto di capottamento.

Nel 1971, con la March ufficiale di Formula 3 conquistò quattro successi: Monthlery, Brands Hatch, Crystal Palace ed al Nurburgring. Sembrò maturo per il passaggio in Formula 2, così, sempre con la March, debuttò nella nuova categoria a Brands Hatch. L’anno seguente guidò, assieme a Brendan McInerney una March STP 722, ma a causa di un litigio con la squadra, passò – a metà stagione – con la Dastle F3 di Lord Hesketh. Quello con Lord Hesketh fu l’incontro che gli cambiò la vita.

Lord Hesketh e James Hunt erano una logica combinazione, chi altri avrebbe potuto sponsorizzare un nobile inglese se non James Hunt? Amante delle scommesse, Lord Hesketh accettò la proposta di Hunt di acquistare un motore Ford Cosworth preparato da Brian Hart da montare sulla March. Grazie alla spinta di questo propulsore da 1850cc, Hunt conquistò il quinto posto nella Rothman’s 5000 a Brands Hatch.

I costi, davvero elevatissimi, necessari per correre in Formula 2, non erano così dissimili da quelli necessari per varare un programma per gareggiare in Formula 1. Così, ancora una volta, Lord Hesketh si mise in gioco e decise di approdare alla massima espressione dell’automobilismo.

CAPITOLO 4

Il debutto in Formula 1.

La Scuderia Hesketh iniziò la stagione 1973 con una Surtees TS15, in Formula 2. Il debutto in Formula 1, invece, avvenne in occasione Corsa dei Campioni, una gara non valida per il Campionato del Mondo, disputatasi a Brands Hatch. A bordo di una Surtees TS9B, Hunt dimostrò tutto il suo talento, conquistando il terzo posto dietro la F 5000 di Peter Gethin e la McLaren M23 di Dennis Hulme. Nonostante il buon podio, il team Hesketh abbandonò i telai Surtees per acquistare una March 731 ed assumere un nuovo Direttore Tecnico, il Ph. Doct. Harvey Postletwaite, uno dei progettisti più geniali della Formula 1.

Postletwaite diede vita ad un piccolo capolavoro, dal momento che la March Hesketh si dimostrò di gran lunga migliore rispetto a quella ufficiale. Grazie ad una vettura veloce ed affidabile, Hunt riuscì a far esplodere tutto il suo talento, dando vita ad alcune gare davvero indimenticabili. Si classificò quarto, in un finale thrilling, durante il Gran Premio d’Inghilterra, a Silverstone. Hunt, tagliò il traguardo a pochi centesimi di secondo dalla McLaren di Peter Revson, dalla Lotus di Ronnie Peterson e dall’altra McLaren, guidata da Hulme.

Al termine della stagione, Hunt poteva guardare con molta soddisfazione al suo punteggio in campionato: i 14 punti che gli assicuravano l’ottavo posto finale infatti, erano stati guadagnati a bordo di una monoposto di un team minore e dopo aver saltato le prime gare del mondiale.

CAPITOLO 5

Il primo successo.

Era la consacrazione, ormai erano finiti i tempi di Hunt “The Shunt”. Con il succeso arrivò l’amore e James sposò una fotomodella bellissima di nome Suzie Miller: divennero quasi naturalmente la coppia più fotografata del paddock nel corso del 1974. Nello stesso anno, Hunt si cimentò anche in una gara per vetture a ruote coperte, nonostante desse il meglio di sé alla guida delle monoposto; tuttavia, a bordo di una Chevrolet Camaro, Hunt fu capace di conquistare il successo al Tour d’Inghilterra.

Ma ovviamente per Hunt la Formula 1 rappresentava il suo palcoscenico preferito. Il 1974 fu l’anno del debutto della prima Hesketh F.1, progettata da Postletwaite e spinta dal motore Ford Cosworth. La Hesketh 308 permise ad Hunt di cogliere il suo primo successo in Formula 1, anche se in una gara non valida per il Campionato: l’International Trophy.

I tre podi conquistati alla fine della stagione, confermarono quanto di buono la squadra aveva fatto nel 1973. Purtroppo il successo fece montare la testa a tutto il team, ed in mezzo a ricevimenti a base di patè fois gras, aragoste e champagne, non si riuscì a sviluppare in modo adeguato la prima e promettente Hesketh F.1.

CAPITOLO 6

La fine del sogno Hesketh.

Il 1975 fu l’anno in cui Hunt conobbe il suo primo successo ed il team Hesketh la sua fine. Per quella stagione, Postletwaite disegnò la Hesketh 308B, che rappresentava uno sviluppo della March 731. Utilizzava molle in gomma con ammortizzatori convenzionali per la sospensione anteriore. La vettura si dimostrò molto competitiva e fu l’unica in grado di infastidire la cavalcata trionfale di Lauda e della Ferrari 312 T, tanto da permettere ad Hunt di cogliere una magnifica vittoria (la prima in Formula 1, appunto) a Zandvoort, durante un Gran Premio segnato dalle avverse condizioni climatiche.

Tuttavia, per un team piccolo, continuare a gareggiare in Formula 1 senza il contributo degli sponsor risultava impossibile e, a conclusione della stagione, qualcuno della famiglia richiamò all’attenzione il barone Alexander Hesketh e l’avventura mitica finì, così come tutte le favole.

CAPITOLO 7

La grande occasione.

Sembrava dovesse finire anche la carriera di James Hunt, legato da un rapporto molto profondo con il lord inglese. Dopo che Colin Chapman ritenne troppo esose le richieste economiche di Hunt, l’avventura nella massima formula sembrava giunta davvero al capolinea. Invece, come un fulmine a ciel sereno, giunse l’annuncio della rescissione del contratto tra Emerson Fittipaldi e la McLaren. Meno inaspettata, invece, fu la notizia della firma proprio tra Hunt ed il team inglese. Il contratto stipulato, in realtà, non era particolarmente remunerativo per il pilota che si accordò per 40.000 sterline.

Era il 1976. L’arma messa in campo dalla McLaren era la temibile M23, una delle monoposto più riuscite della storia della Formula 1. Progettata da Gordon Coppuck, la M23 era caratterizzata da una monoscocca molto resistente dotata di strutture deformabili (come richiesto dal regolamento a partire dal 1972) ed era spinta dall’8 cilindri Ford Cosworth, di 3.000cc.

Hunt forse capì che quella che aveva davanti rappresentava un’occasione irripetibile e, fin dalle prime prove ufficiali del Gran Premio del Brasile, il pilota inglese fece capire che non voleva lasciarsela scappare. Ebbe così inizio quella che si può tranquillamente definire come la stagione più incredibile della Formula 1. Nel 1976, infatti, successe di tutto. Nonostante alcune buone qualifiche, l’avvio di campionato fu nettamente favorevole a Lauda che vinse ad Interlagos, a Kyalami (con Hunt secondo) ed arrivò secondo a Long Beach (dietro a Regazzoni).

Il Gran Premio di Spagna del 2 maggio, invece, non verrà ricordato solo per il debutto della Tyrrel P34 a sei ruote guidata da Depailler, ma anche e soprattutto per la grande scia di polemiche che seguì la gara. La McLaren di Hunt, dopo aver conquistato la pole, vinse la corsa davanti a Niki Lauda su Ferrari ma i commissari, dopo le verifiche, decisero di squalificare la vettura numero 11 dell’inglese a causa delle misure irregolari dell’alettone. La McLaren, tuttavia, decise di appellarsi alla decisione e la giuria tramutò la squalifica in una multa, ripristinando dunque il verdetto della pista.

CAPITOLO 8

Veleni, dolori e trionfi.

Lauda decise di riprendersi sul campo i punti che spettavano di diritto al primo classificato, andando a vincere nei successivi appuntamenti di Spa e Monaco.
Hunt, ruppe il digiuno di vittorie a Le Castellet, in Francia, nel Gran Premio che precedeva la corsa in una delle piste che più portavano bene al pilota inglese: Silverstone. La griglia di partenza del Gran Premio di Gran Bretagna vedeva in prima fila proprio Lauda ed Hunt. La tensione era palpabile, tanto che il via fu il teatro di uno spettacolare incidente che coinvolse proprio le vetture di Hunt e Lauda, oltre che la Ferrari di Regazzoni. La carambola, innescata da Hunt, costrinse il direttore di corsa ad interrompere la gara. I meccanici della McLaren riuscirono nel miracolo di sistemare la M23, ma non in tempo secondo i commissari. Così, la vittoria conquistata da Hunt si rivelò inutile poichè la Ferrari fece e vinse ricorso, permettendo a Lauda di vincere la gara. Il verdetto, tuttavia, non fu immediato e venne comunicato solamente nella parte finale della stagione, prima del Gran Premio del Canada.

Nel periodo che passò tra il Gran Premio di Inghilterra e quello canadese, la Formula 1 non si era fermata, anzi. L’appuntamento successivo a Silverstone era quello del Nurburgring, per disputare il Gran Premio di Germania. Una gara che segnò irrimediabilmente non solo il campionato, ma anche la vita di Niki Lauda. Il pilota austriaco infatti, perse il controllo della sua Ferrari a Bergwerk e finì in mezzo alla pista, prima di venire colpito da alcune monoposto che stavano transitando proprio in quel punto. L’incendio che avvolse la vettura di Maranello sarebbe costato la vita a Lauda se il coraggio di Merzario non avesse permesso al pilota italiano di estrarlo dalla monoposto.

Mentre Lauda era in coma per le gravissime ustioni riportate e per i gas tossici inalati, Hunt (ignaro di ciò) andò a cogliere il suo terzo successo stagionale. Il pilota McLaren non fece sconti agli avversari in Olanda anche perché appariva chiaro che Lauda sarebbe stato – miracolosamente – pronto al rientro già a Monza. Per il ferrarista il distacco si era ridotto a diciotto punti, con ancora tre Gran Premi da disputare. Il rientro fu piuttosto soddisfacente per Lauda, che concluse la gara al quarto posto, mentre Hunt fu costretto al ritiro per un incidente. Le speranze di vincere il mondiale, per Hunt, erano davvero ridotte ad un lumicino.

CAPITOLO 9

Il titolo mondiale.

Ma per un pilota che, agli esordi, fu capace di farsi largo tra gli arrembanti piloti della Formula Junior, per un pilota che aveva avuto come mentore quel Lord Hesketh capace di accettare anche le sfide che sembravano impossibili, per uno come James Hunt, insomma, la matematica possibilità di conquistare il titolo era sufficiente per spingerlo a giocarsi tutte le sue carte. E così fece.

Con le due vittorie consecutive, a Mosport e a Watkins Glen, Hunt si presentò al via dell’ultima gara in campionato con tre soli punti di svantaggio da Lauda. In cuor suo, Hunt si sentiva pronto per lottare, anche questa volta. Era convinto che avrebbe dovuto fare i conti direttamente con il ferrarista ma il destino volle diversamente. E il 24 ottobre, sul circuito del Fuji, in Giappone, sotto una pioggia torrenziale, Lauda dopo due giri rientrò ai box giudicando inadeguate le condizioni di sicurezza del circuito per una gara che si svolgeva sotto quel diluvio. Non ci fu modo di farlo rientrare in pista e non vi fu modo di fermare Hunt.

Il pilota della McLaren, grazie al terzo posto finale, subito dietro alla Lotus di Andretti e la Tyrrell di Depallier, conquistò il suo primo – ed unico – titolo mondiale, con un unico punto di vantaggio su Lauda. Fu il quarto pilota britannico capace di laurearsi campione del mondo: prima di lui vi erano riusciti solamente Mike Hawthorn nel 1958, Graham Hill nel 1962 e nel 1968, John Surtees nel 1964.

CAPITOLO 10

In smoking e scarpe da ginnastica.

Dopo aver toccato l’apice della sua carriera, Hunt non riuscì più a ripetersi ai livelli del 1976. La M26, infatti, si rivelò una monoposto non all’altezza. Anche se la scocca era in pannelli di honeycomb, la sua architettura era ancora convenzionale, incapace dunque di battagliare con le neonate “wing car”, le monoposto nate sulla scia della geniale Lotus 78 ad effetto suolo.

Hunt vinse a Silverstone, a Watkins Glen ed al Fuji, nel 1977, terminando soltanto quinto (con 40 punti) in una stagione vinta invece da Lauda. Ma non erano tempi facili. Dopo aver colpito un commissario di gara che cercava di impedirgli di attraversare la pista dopo un incidente, Hunt venne multato di 2750 sterline.

La parabola discendente dell’oramai ex-campione coincise con la separazione dalla bellissima Suzie, che preferì seguire il tenebroso Richard Burton in un mondo ancora più pericoloso, quello dello spettacolo. Hunt accusò il colpo e dopo aver fatto una discreta stagione nel 1977 con tre successi, abbandonò l’attività nel 1979 lasciando a metà stagione la nuova Wolf F.1. Il 1978, infatti, non era stato certo un anno da ricordare, visto il mondiale concluso in tredicesima posizione con solamente otto punti all’attivo.

E l’avventura con la Wolf, che pure molte analogie aveva con quella vissuta assieme a Lord Hesketh, iniziò male. Walter Wolf aveva fondato il team nel 1977 e, con la Wolf WR1 era stato capace di vincere al debutto. Ma la vettura del 1979, la Wolf WR9, pur essendo stata progettata da Postletwaite, non riuscì a competere con le imperanti Lotus. Hunt, addirittura, non riuscì neppure a completare un solo Gran Premio e così, dopo aver disputato il Gran Premio di Monaco, scelse di ritirarsi.

Ma non abbandonò completamente il mondo della F.1 diventando commentatore della BBC, dove ancora rimpiangono la sua competenza e sincerità, che gli valsero anche diverse antipatie. Ma James Hunt era James Hunt, uno che alle feste si metteva le scarpe da ginnastica sullo smoking. Purtroppo negli ultimi anni la sua vita non fu molto felice ed un infarto lo rubò nel 1993 a soli 46 anni, lasciando in tutti il ricordo di un grande campione, ma anche di una grande persona.

La monografia soprastante è stata scritta in esclusiva per FormulaZero e non può essere copiata, duplicata, replicata o modificata senza il previo consenso dell'autore.
Daniele Bogani e Luca Giraldi
Per FormulaZero

LE STATISTICHE

I numeri curati da Davide Marchi

Campione del mondo Piloti 1976
0
Gran Premi disputati
0
Vittorie
Percentuale vittorie
10.86%
0
Punti ottenuti
0
Pole position
Percentuale pole position
15.21%
0
Km percorsi al comando
0
Giri più veloci
Percentuale giri più veloci
8.69%

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